Sezione Suicidi



antonin varenne
Sezione Suicidi
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Il tenente Guérin da due anni è diventato uno specialista della morte volontaria. Almeno una decina di casi alla settimana. Un’enciclopedia in carne e ossa del suicidio a Parigi. Non c’è collega che non lo detesti, ma almeno rispettano la sua competenza. Il suo vice, Lambert, invece passa per essere un deficiente totale. Però ha ideato un principio tutto suo. Il maschio, sostiene, si uccide perché perde l’orgoglio in seguito a un fallimento che lo sminuisce ai suoi occhi. Si suicida cioè “soprattutto in nome di un’idea di se stessi” e perciò non va pianto. Invece quando una donna si fa fuori, scompare con lei “una porzione più grande della speranza in un mondo migliore”. Lei muore in nome di tutti. E le lacrime possono scorrere. E infatti quando si tratta di una donna, Lamberto piange a più non posso.

Guérin non ci può far niente. La sua vita è un intero caos. Da casa sua (dove tiene un pappagallo che accoglie gli ospiti vomitando scurrilità a go-go) alla Sezione che dirige. Lavoro di routine finché la Capitale non viene messa sottosopra da una serie di suicidi talmente spettacolare da pensare a una regia dietro le quinte. La messinscena è perfetta. Ma a un professionista del suicidio come il tenente Guérin si può non far credere che appunto non sia che una messinscena, per quanto ben organizzata?

Celebrato in patria da messe di premi, Antonin Varenne è il nome nuovo del noir francese. E Sezione Suicidi il suo biglietto da visita. Il volume vale la fama? Oddio, l’idea è di quelle che creano l’acquolina in bocca. E pure la sua trasformazione in parola parlante non soffre di particolari afonie. L’impressione però è che qualche volta la narrazione scorra come acqua di torrente troppo calma. Tutto un po’ eccessivamente normale, abituale, ordinario perché il lettore possa sgranare gli occhi. Che Varenne spettinasse un po’ di più personaggi e situazioni! Creare uno stage a la Pennac e poi procedere come un operatore di cronaca è come costruire una Ferrari e farla guidare al sottoscritto. Avesse proceduto col freno a mano un po’ meno tirato non un urrah sarebbe andato sprecato. Attendiamo il prossimo.

P.S.: Nella fascetta rossa che accompagna il libro si strilla questo “nuovo astro del poliziesco” nella terra “di Simenon, Manchette e Fred Vargas”. Tolto il padre di Maigret (come ometterlo?), si citano solo autori della stessa casa editrice che pubblica Varenne. Un gesto che odora da bottegaio se si pensa alla storia della casa torinese. Brutta cosa smarrire l’eleganza del silenzio.

corrado ori tanzi

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