Texas orientale.
Lark, una piccolissima cittadina, vicina alle paludi, e la Highway 59 che ci passa dentro, come una scia, uno squarcio grigio nel grigio del tempo.
Tempo che si è fermato, in questo posto, così come il progresso.
Tempo fermo, a Lark, anime grigie i suoi abitanti.
Due mondi vicini pochi metri, ma terribilmente distanti, abitano questo luogo. Due realtà opposte, in silenzioso e nascosto contrasto, costrette a vivere in una, solo apparente, calma piatta dei giorni uguali ai giorni, in un silenzio imposto, in una costretta incomunicabilità.
Geneva Sweet possiede una tavola calda, un posto semplice dove i neri non sono cacciati via; un posto che nasconde timori, paure, segreti; un posto appartenente al mondo dei semplici, in contrasto con le grandi case bianche e con le staccionate, perfettamente in ordine, dimora della ricchezza e del potere.
E la palude intorno, a rendere “paludose” le giornate. Una melma che ricopre i territori dell’anima. Un fango che sommerge la vita di ognuno.
Un giorno questa palude vomita fuori due corpi: un avvocato di colore di Chicago e una giovane donna bianca del luogo.
Come spesso accade nel Texas orientale, tutte le volte che una donna bianca muore viene ritrovato morto un uomo di colore. Il caso sembra facile e risolto, il solito crimine a sfondo razziale.
Ma niente è come appare.
La Highway 59 porta a Lark Darren Mathews, un ranger di colore che vive un momento difficile della sua carriera e che capisce subito che niente è come sembra. Darren, con passione testarda, cerca di venire a capo del mistero prima che il vulcano sommerso di odio e rancore possa esplodere all’improvviso. Darren, scappato dal Texas orientale e poi ritornato, che vive un rapporto di odio e amore con la sua terra, comincia col chiedersi: c’è un legame tra i due omicidi? E soprattutto, le due vittime si conoscevano?
Il Texas è un posto con le sue regole precise e un Texas ranger lo sa. Deve stare attento, Darren, anche perché l’odio razziale minaccia la tranquillità di Lark.
Attica Locke canta e balla un malinconico blues, con questo romanzo.
Racconta, con infinite variazioni di tono e colore, la vita della gente di quei luoghi, con le sue speranze e le sue illusioni.
Racconta una terra silenziosa, violata da piccoli suoni della natura, attraversata da occhi pericolosi e incapaci di guardare un orizzonte chiaro.
Descrive poliziotti strani, quasi surreali figure, vaganti in uno spazio senza legge; uno spazio governato da paure del passato, dominato da una giustizia sommaria.
Il romanzo è nero, come una nuvola carica di pioggia, ed è una nera denuncia del razzismo che ancora vive in quei territori.
La storia esplode negli occhi come un temporale inaspettato in una terra arsa dal sole.
I personaggi, intonando tutti un lento motivo blues, proveranno sulla loro carne che quella terra ha la capacità, proveniente dal passato, di inghiottirli tutti nelle sue paludi, senza possibilità di ritorno.
L’aria che si respira è intrisa di misteri e di complotti generati da intrecci familiari.
Il vento che soffia è caldo e passa lento sulle ferite infette dei protagonisti.
L’autrice ci racconta di luoghi in cui spesso la giustizia si piega, e questo piegarsi può fare la differenza tra la vita e la morte, ma anche dove il senso dell’amore per la propria terra viene fuori forte, deciso, rappresentato da alberi maestosi e bellissimi.
La narrazione è dolce, avvincente allo stesso tempo, e ha tutti i tratti distintivi della narrativa poliziesca. Ma ciò che contraddistingue e rende affascinante questo libro è il canto delle sue parole: profonde e ritmate, come le radici del blues, calde come il sangue degli afroamericani.
Sono parole che hanno il tepore del sudore degli schiavi e che hanno come sottofondo la “musica dell’anima”.
Leggere questa storia è stato come viaggiare sulla Highway 59, per poi fermarsi ad assaporare la lentezza di un piccolo numero di case, a ridosso di una palude, chiamato Lark, e degli atavici segreti dei suoi abitanti.
E cantarne il blues.
E respirarne la bellezza.