Uno sguardo sull’Albania con Assassinio nel palazzo del governo. Intervista a Diana Çuli

Salutiamo Diana Çuli, da maggio in libreria con la sua ultima fatica “Assassinio nel Palazzo del governo”, Castelvecchi editore. Diana Çuli è una scrittrice, giornalista e politica albanese, ha vinto diversi importanti premi; questo suo ultimo lavoro è stato giudicato miglior libro dell’anno 2019 dalla prestigiosa Akademia kult albanese.

Assassinio nel palazzo del governo, non un semplice romanzo giallo con i buoni da una parte i cattivi dall’altra, ma una storia complicata, vissuta nelle stanze del comando, tra gli splendidi panorami della penisola balcanica.
Come è nata l’idea di raccontare questa storia?
Penso che l’idea sia maturata gradualmente nella mia mente, mentre per anni mi capitava di viaggiare nei Balcani per diverse ragioni. Cosi’ cominciai a conoscere meglio i paesi vicini. Per gli albanesi, fino al 1991, quando cadde il regime comunista che isolava il paese dall’altra parte del mondo, i Balcani dopo la Seconda Guerra Mondiale erano quasi sconosciuti. Cosi’, viaggiare nella penisola per gli incontri delle reti delle donne o per quelli letterari, organizzati dalla fondazione culturale Balkanika, dove facevo parte come membro della giuria di letteratura, era sempre una scoperta infinita di un mondo affascinante, bello, contradittorio, dove tutti abbiamo una storia comune, ma anche una storia di divisioni. Dove si intrecciano e si incontrano le culture dell’Ovest e dell’Est, il mondo antico, le mitologie, le diverse religioni, l’eredità e l’esperienza comune del socialismo reale e della sua sconfitta, le guerre di confine, la difficoltà – anche questa comune, di reintegrarsi in un mondo nuovo.
Piano piano, prese forma l’idea di un libro, dove potevo scrivere su di noi, sul futuro insieme, che puo’ essere possibile, malgrado le forze occulte e gli interessi privati dei diversi gruppi; ma dovevo trovare una forma non noiosa per il lettore. Pensai che il giallo andasse bene per un tale soggetto.

E’ un libro al femminile, nel senso che le protagoniste sono donne,  donne forti, coraggiose, inquiete. Si riconosce in qualcuna di loro?
Sì, nel libro i personaggi principali sono donne. Anzi, all’inizio avevo uno o due di più, poi ho cambiato, perché erano in troppo. Parliamo spesso e tanto, giustamente per le donne oppresse, quelle che soffrono la violenza, le donne che non hanno diritti, ma succede anche che dimentichiamo l’altra parte – quelle donne che lottano e vincono, che superano mille difficoltà e riescono ad avere successo. Che sono intorno a noi, insieme a noi. Durante i miei lunghi anni di militanza nel movimento delle donne albanesi, qualche volta, avevo il dubbio, che, se parliamo solo, o principalmente della violenza, rimaniamo piuttosto nella posizione delle vittime, che è comodo a chi non piace l’uguaglianza di genere. E cerco, in generale, nei miei libri, di avere donne di diverse categorie, come lo sono anche nella realtà. Riconosco, per esempio, nel personaggio della premier, donne brave della politica albanese di oggi, o nel personaggio della giovane Beti, donne giovani con grande coraggio e ambizione per riuscire.

A questo proposito perché  lei ritiene che la letteratura crime abbia un così grande successo?
Anch’io mi pongo questa domanda.  Forse si tratta di un’onda. Spesso nella storia della letteratura passa un’onda diversa, un nuovo desiderio dalla parte dei lettori o una proposta dalla parte degli scrittori. Sono tanti decenni ormai che la letteratura del crimine conosce un successo ampio in tutto il mondo. Forse la suspence, la sorpresa, l’uso della logica, l’ansia di scoprire l’enigma…Tutti questi mezzi artistici aiutano ad attrarre il lettore, anche se si tratta di soggetti complessi – per esempio, parlare in un romanzo di euroscetticismo potrebbe difficilmente attrarre l’attenzione del lettore che vuole leggere un’opera letteraria, e trovare le idee politiche potrebbe in altri libri. Credo che Il nome della rosa è un esempio splendido dell’intreccio della suspence con il soggetto profondo ed ampio che troviamo in quel romanzo.

Nel suo libro si parla di politiche europeiste, di necessità di far parte di una comunità forte e democratica. Secondo lei è ancora lungo il cammino verso l’attuazione dell’ideale europeista, con tutti i suoi pro e contro?
Come tutti gli ideali, anche quello europeista, non è facile realizzarsi. In Albania, ma anche in altri paesi dei Balcani, la speranza che il camino verso l’Unione Europea sia breve cerca di sottovalutare la situazione reale, che è molto più complicata di quello che noi avremmo desiderato. Si segue continuamente, con grande attenzione – e anche con timore – ogni segno di crescita dell’euroscetticismo.  Forse perché sappiamo che non c’è altra via per i nostri paesi – per quanto imperfetta che sia – che l’entrata in Europa; la tendenza di far parte al Unione è sempre forte. Naim Frasheri, un nostro poeta famoso scriveva, verso la fine del 1800, che ‘per gli albanesi il sole nasce all’Occidente’, volendo, in questo modo, esprimere la continua speranza di poter ri-appartenere al vecchio continente, come un ritorno alla vecchia casa.

Lei è da sempre impegnata nella promozione dei diritti umani e dei diritti delle donne, quanto è difficile lavorare in questo campo e che risultati è riuscita a raggiungere?
Nel campo delle idee, dei diritti, mi sembra che i risultati desiderati arrivano dopo un processo lungo e difficile, e a volte neanche arrivano. Si intrecciano tradizioni, usanze, norme sociali consolidate, manovre del potere. Da una breve esperienza politica ho visto che il behaviour discriminatorio verso le donne, per non farle parte della leadership, specialmente politica, non deriva solo a causa della cultura maschilista, ma anche dalla paura di dividere il potere, di perdere anche un solo seggio in parlamento. Ho visto la resistenza dei politici – non tutti, però c’erano sempre quelli che inventavano dei meccanismi per impedirlo – quando dovevamo approvare la legge delle quote di genere che prevedeva il 30% della partecipazione delle donne nelle liste dei candidati dei partiti politici. Come parte del movimento donne, ma anche durante il periodo che ho passato come membro del parlamento, sono contenta che siamo riuscite ad approvare questa legge, ma anche tanti altre, legate al lavoro delle donne, alla violenza domestica e quella sessuale, alla partecipazione delle donne al livello comunale e nell’ amministrazione. Da tanti anni ormai, nei nostri governi quasi la metà dei membri sono donne, senza parlare delle direttrici delle segreterie di stato molto importanti. Anche nel parlamento, nel mondo diplomatico, in quello dell’educazione e della sanità, la presenza delle donne in posizioni dirigenti è molto alta ed apprezzata. Fino a dieci anni fa, in parlamento erano solo dieci donne su 140 parlamentari.  Oggigiorno, non è tutto rosa, ma i cambiamenti sono notevoli. Approfitterei per ringraziare qui le donne meravigliose italiane, del movimento delle donne e della società civile in generale, che sono state le prime ad arrivare dopo la caduta del regime, che sono state con noi nei momenti più difficili, ci hanno aiutato e sopportato con cuore e con grande professionalità.

Nel 2012 ha ricevuto il grado onorifico di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana conferitole dal Presidente Napolitano. A tal proposito le chiedo del suo legame con l’Italia e dei suoi luoghi del cuore italiani.
Si, è stato un bel momento per me, ma anche per tutte le mie colleghe con cui abbiamo lavorato, insieme ai gruppi di donne italiane che ho menzionato. Sono stati anni difficili, ma entusiasmanti. Noi abbiamo imparato tanto e le nostre compagne italiane, forse, hanno visto anche un altro mondo, che era il nostro. Ci siamo confrontate e abbiamo fatto delle scoperte, abbiamo allargato delle conoscenze e scambi sociali e culturali. Oggi sembra normale che i nostri giovani vengano a studiare in Italia, ma nei primi anni ’90, quando l’Albania era la ‘sconosciuta del Mediterraneo’ – come la definivano spesso nelle conferenze in cui partecipavo –, era diverso. Per me, come per moltissimi albanesi, l’Italia era speciale, era la mano che si è allungata nei nostri momenti più difficili, il paese degli amici del cuore. I miei figli hanno studiato a Roma, poi sono andati via, però  per me Roma rimane sempre il posto dove trovavo e trovo amici e amiche rare. Come rimane l’Italia.

Mi piacerebbe sapere da quali libri non si separerebbe mai e perché?
Non è facile dirlo, dopo una lunga vita di letture…Ritorno agli autori che forse mi hanno lasciato un segno: Dickens, Tolstoi, Eco, Sartre. Nell’Albania del comunismo, Sartre era proibito, come Camus. Umberto Eco è stato tradotto molto tardi, alla vigilia degli cambiamenti del regime. E noi, che imparavamo le lingue per conoscerli, gli abbiamo letti di nascosto. Certe volte mi sembra che quel piacere di leggerli nel rischio è molto diverso dell’emozione che suscita una situazione di lettura normale.

Non può mancare una domanda che, purtroppo è di stretta attualità, come ha vissuto la quarantena da Covid? E’ riuscita comunque a lavorare, a relazionarsi con parenti ed amici, anche se è venuta a mancare la fisicità dei rapporti umani?
Ho approfittato della situazione per sedermi davanti al computer e finire tanti lavori rimasti in sospeso o a metà. Certo, la mancanza delle relazioni umane era ed è ancora pesante, per sfortuna, perché la vita non è più come prima. Ci aiuta la tecnologia, whatsapp, skype, zoom. Vediamo i nostri cari, parliamo con loro, anche se nei piccoli schermi. Ricordo mia madre che aspettava sei mesi la lettera di mio nonno, suo padre, che doveva arrivare dall’America, dove lui era emigrante e penso che noi siamo più fortunati. Penso che le generazioni umane non si salvano facilmente senza subire qualche calamità di natura, di qualche guerra (il peggio), e così  mi sembra che noi, a cui è capitato il Covid, possiamo anche riuscirci, se avremmo pazienza e attenzione. Ma, anche questa mia idea è relativa, credo.

Possiamo chiederle dei suoi progetti futuri, letterari sicuramente, ma anche politici?
I progetti letterari ci sono sempre. Vorrei, per esempio, scrivere proprio dell’esperienza dei primi anni dopo la caduta del regime e del nostro incontro con il mondo intero, quello europeo, con l’Italia specialmente. Il mondo che vedevamo, sempre di nascosto, attraverso la TV e che improvvisamente diventò reale. Di come abbiamo creato il nostro movimento di donne, dopo un’altra esperienza nostra, completamente diversa. Ci sono anche altri piani, idee di romanzi…Ma per fare questo ci vuole tempo. Politica non più, ho fatto un mandato al Parlamento, era un’esperienza molto interessante, forse anche un episodio nella mia vita, ma preferisco la scrittura.  In quelli anni ci sembrava che dovevamo tutti dare una mano nel processo di cambiamento. Adesso sono molti i giovani, donne e uomini, bravi a continuare, i quali non pensano a fare anche lo scrittore o l’artista, ma solo la politica, e questo mi sembra più giusto.

Ringraziamo Diana Çuli per la gentilezza e la disponibilità dimostrata verso Milano Nera.
Qui la nostra recensione a Assassinio nel palazzo del governo

 

Roberta Gatto

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