Valeria Palumbo

Incontriamo oggi la scrittrice e giornalista Valeria Palumbo. Attualmente caporedattore de L’Europeo, collabora con vari giornali e insegna al Master di giornalismo della Statale di Milano. L’ultimo libro pubblicato è Svestite da uomo (Bur, 2007).

Il libro (di un altro) che avresti voluto scrivere e il libro (tuo) che NON avresti voluto scrivere.

Di libri che avrei voluto scrivere – ahimé – ce ne sono un’infinità:
“L’anno della morte di Ricardo Reis” di José Saramago (tutti i suoi libri sono stupendi, a cominciare dal Memoriale del convento), “Domani nella battaglia pensa a me” di Javier Marias, “L’amore al tempo del colera” di Gabriel García Marquéz e “L’opera al nero” di Marguerite Yourcenar.

Il mio che non avrei scritto è “Lo sguardo di Matidia”: perché è quello che amo di più, ma l’ho fatto quando non ero ancora all’altezza di trattare con accuratezza il tema ed è pieno di ingenuità e ripetizioni. Lo riscriverò senz’altro.

Ti ritieni una scrittrice di genere o toutcourt, perché?

Non mi reputo una scrittrice. Per me gli scrittori scrivono narrativa. E per quanto sia Lo sguardo di Matidia, sia, soprattutto, Le donne di Alessandro Magno non siano veri e propri saggi, tutte le informazioni che contengono sono storiche (o almeno io al momento le giudicavo tali): non c’è nulla di inventato. Quindi non posso rispondere alla domanda. Sono una giornalista che scrive saggi di divulgazione storica.

Un sempreverde da tenere sul comodino, una canzone da ascoltare sempre, un film da riguardare.

Sul comodino… tengo fisso un manuale di yoga, lo confesso, insieme ai due libri che in genere sto leggendo. Ma se dovessi pensare a un romanzo da tenere sempre lì è “La morte” di Ivan Il’ic di Tolstoj. La canzone non so, forse “La donna cannone” di De Gregori… di sicuro l’ “Aria sulla quarta corda” di Johann Sebastian Bach. Il film pensavo fosse Oci ciornie di Mikhalkov, ma confesso di averlo rivisto di recente e mi ha colpito meno. Oggi, forse, ti direi “A torto o a ragione” di István Szabó, che rivedo sempre con lo stesso piacere.

Si può vivere di sola scrittura oggi?

Certo che si può vivere di scrittura.. come giornalista vivo di scrittura, no?! Scherzo. In ogni caso qualche scrittore da oltre centomila copie esiste: superata una certa soglia (secondo me in Italia ne bastano circa 50mila) e con un po’ di abilità mediatica, si cominciano a ricevere incarichi, inviti, etc. etc. che permettono di vivere anche nei periodi di calo creativo.

Favorevole o contraria alle scuole di scrittura creativa? Perchè?

Favorevole. Il talento ovviamente non si insegna (che frase banale!) ma le tecniche di scrittura sì. Proprio come per i giornalisti. Uno crede di nascere “cronista” e invece se non ti insegnano dove guardare per “trovare” una storia, giri a vuoto. A lungo, almeno. E poi la scrivi malissimo e la titoli peggio. I trucchi del mestiere permettono sia di arrivare a un livello decente, se non si è proprio negati, sia di evitare gli errori, spaventosi, degli scrittori italiani: descrizioni lunghissime, abuso della prima persona, troppi sentimenti e pochi fatti, sequenze lente e inconcludenti, finali mosci, inizi ancor più mosci, inutili compiacimenti, narcisismi, aggettivi in eccesso e perfino avverbi oltremisura, etc.
Certo, l’eccesso di scuole mi fa temere il peggio: non mi risulta che esistano tanti scrittori bravi, in Italia, da coprire tutti i corsi. Però è vero che, proprio come accade ai giornalisti, si può essere pessimi scrittori e ottimi censori.

paolo franchini

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