WW (DiRottamenti) – Inafferrabile Arianna

La misoginia degli antichi greci ha subito un curioso destino: a parte alcuni eroi, la cultura classica ci ha lasciato soprattutto sorprendenti figure di donne. Per quanto a molti Penelope, con la storia della tela, possa sembrare noiosetta, la verità è che non pochi hanno ammirato la tenacia di questa donna che conserva il regno al marito, tiene a bada una banda di pretendenti, riesce pure a riconquistare la fiducia di Ulisse che non sembra affatto un fessacchiotto alla Menelao e nel suo girovagare si è concesso notevoli distrazioni.

Inutile poi parlare del fascino di personaggi come Antigone, Medea, Circe e Cassandra, per non dire delle dee, da Atena ad Artemide, ben più affascinanti e vitali dei loro colleghi-fratelli-amanti e pure dello stesso Zeus, che, a vederlo oggi, appare soprattutto come un impenitente ma sbadato erotomane.

Tutta questa premessa per dire che un libro su un’eroina della mitologia greca è già di per sé interessante. Ma Il mito di Arianna. Da Omero a Borges, di Giorgio Ieranò (Carocci), è molto di più.

Ieranò unisce il rigore dello studioso (insegna Letteratura greca e storia del teatro antico all’Università di Trento) alla chiarezza del giornalista: il risultato è un libro “difficile” e colto che scorre come un romanzo. Perché parla sì di Arianna, la figlia di Minosse che aiuta l’eroe ateniese Teseo a uccidere il suo fratello-mostro, il Minotauro, e con lo stratagemma del filo gli permette di venire fuori vivo dal labirinto.

Ma nel raccontare le infinite varianti del mito (Arianna viene abbandonata a Nasso da Teseo e salvata da Dioniso? Dioniso se la va solo a riprendere poiché era già la sua sposa? Arianna muore di parto? Viene uccisa?

L’elenco è straordinariamente lungo) ci restituisce la ricchezza e la complessità della cultura religiosa e letteraria dei greci, la passione che ha suscitato in tutti quelli che sono venuti dopo (il saggio si spinge fino alle interpretazione novecentesche del mito), la fecondità delle leggende antiche. Ma spiega anche la complessità del lavoro degli studiosi: si lavora su frammenti, su versi monchi, su annotazioni ai margini dei testi antichi, su racconti tramandati, su pitture scomparse, su copie.

Ogni ipotesi, per quanto convincente, può smontarsi con la scoperta di un semplice papiro, di un vaso dipinto. Arianna vaga così non solo nella fantasia dei letterati antichi ma anche tra le teorie dei “moderni” che la vogliono una volta dea della vegetazione e una volta “donna dei dolori” (la poetessa Marina Cvetaeva ne parlò con tanta partecipazione che alcuni studiosi sostengono che vi si identificasse).

Come spiega bene Ieranò, alla fine Arianna continua a sfuggirci. Ma è in questa straordinaria ricchezza di ruoli e interpretazioni, nei mille volti di un mito in apparenza così noto, che si conferma la vitalità della cultura classica. Fa ancora discutere. Si mostra contraddittoria e addirittura paradossale.

E proprio per questo è così adatta alla complessità dei nostri tempi.

valeria palumbo

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