“Lo spazio nero” riprende. E riprendono, come di consueto, le riflessioni e i confronti sulla scrittura e non solo. La pausa di riflessione è – personalmente – servita. Alcuni ragionamenti fatti nelle scorse settimane, oramai mesi, mi appaiono più chiari – o meglio: più scuri – e cominciano a delinearsi i contorni dei temi affrontati e le sagome di quelli che toccheremo in futuro.
Sempre che abbiate voglia di seguirmi in questo piccolo viaggio.
Parlare di scrittura così come stiamo facendo è difficile, me ne rendo conto. Eppure è necessario. E lo aveva capito, ben prima di me e di molti altri, Aristofane che visse nel IV secolo avanti Cristo – dal 450 al 388 circa – ma le cui opere, ora come allora, sono di stretta attualità.
Aristofane era un drammaturgo greco, considerato dai suoi contemporanei uno dei maggiori poeti comici.
La definizione corretta è ossimoro: una figura retorica consistente nell’accostamento di due termini in forte antitesi tra loro. Drammaturgo e comico, assieme costituiscono un ossimoro. La parola stessa è l’unione di due termini greci antitetici: ????, cioè acuto e ?????, sciocco. Uno sciocco acuto, teoricamente non esiste. Forse.
Eppure molti proverbi fanno riferimento alla “saggezza degli stolti” cioè alla capacità che hanno alcune persone semplici di rendere accessibili e quindi comprensibili a se stessi e agli altri, anche i più grandi e complessi misteri.
Nella scrittura di Aristofane, la conoscenza può essere solo indiretta: “Gli uccelli” – se non l’avete letta, fatelo – ne è uno splendido esempio. Esempio ripreso, tra gli altri, da George Orwell con “La fattoria degli animali”, del 1944.
Nella scrittura, è possibile essere acuti e sciocchi a seconda delle situazioni e di quello che si vuole trasmettere ma non bisogna mai pensare al lettore come o a uno o all’altro. “Lo spazio nero” di chi ci legge, infatti, è complesso e vasto come – e forse più de – il nostro.