WW (DiRottamenti) – Le vere arrampicatrici

“Nell’arco di ventidue ore Elvira Sataeva, dal nevaio sospeso sulla Cresta Lipkin, comunica via radio la morte, una dopo l’altra, di tutte le sue compagne. L’ultimo collegamento radio non è di Sataeva, ma di Galina Perechodjuk, l’ultima – e unica – testimone dell’atto finale della tragedia”. Sono le parole forse più toccanti del racconto di una scalata finita malissima: quella tentata da otto alpiniste donne nell’estate del 1974, sul Pik Lenin (7.1349 metri). Lo racconta Arantza López Marugan in Corde ribelli, Ritratti di donne alpiniste (cda Vivalda, 15,00 euro), un libro insolito e, per chi si occupa di donne, da leggere senz’altro.

Di quella sfortunata impresa colpiscono tre cose: nessuna delle otto donne volle scendere da sola per salvarsi. Rimasero unite andando incontro a morte certa. Nessuna di loro era attrezzata in modo sufficiente. Nessuna volle accettare aiuto dalle cordate maschili che si muovevano in zona. Orgogliose fino ad apparire stupide? Forse. Certo è che i sovietici non raccontarono poi la verità: seccante ammettere sia il fallimento di un’impresa russa, sia che le otto donne furono mandate allo sbaraglio.

Insomma Arantza López Marugan ha anche il merito di rievocare le scalate come davvero sono andate. La montagna è abbastanza dura da non aver bisogno di pathos aggiuntivo.

E lo stesso fa, in tutt’altro campo, Massimo Novelli, a cui va già il merito di aver riscoperto la storia di Lea Schiavi, giornalista antifascista uccisa misteriosamente in Iran nel 1942. Questa volta Novelli affronta la storia di Marilena Gril in L’ausiliaria e il partigiano (Spoon River, 14,00 euro), vicenda vera, ma qui romanzata, di una sedicenne uccisa a Torino nella notte tra il 2 e il 3 maggio 1945.

Marilena era un’ausiliaria, ovvero era dalla parte sbagliata, quella della Repubblica di Salò, ed era anche una piccola fanatica che sognava di fare “la bella morte” per la patria. Ma la sua morte fu del tutto ingiustificata: dopo essere stata arrestata prese in giro i partigiani e quelli le spararono. Novelli, giornalista di sinistra, tutt’altro che un “revisionista”, ha voluto solo raccontare una storia “infame”. E ha fatto bene.

Non solo per ribadire che la grande storia è fatta da tante piccole storie. Ma anche per ricordare che le tante piccole storie spesso non sono neanche belle.

E tanto meno edificanti.

valeria palumbo

Potrebbero interessarti anche...