Il mio nome è Tarzan Soraia



maurizio matrone
Il mio nome è Tarzan Soraia
frassinelli
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Maurizio Matrone lo conosciamo. E conosciamo la sua scrittura. E’ una scrittura forte e delicata allo stesso tempo. Maurizio Matrone è ben rappresentato dalla sua scrittura. Perché anche lui è così. Anche se può sembrare strano, anche se può apparire una contraddizione. Forte e delicato. Fa il poliziotto, Maurizio, anche questo lo sappiamo. Lui stesso ce lo racconta di frequente. Ma come mi è capitato più volte di spiegare, così come per Girolamo Lacquaniti e altri, non basta fare il poliziotto per scrivere bene. Non basta attingere a quel pozzo, senza fine, di informazioni senza avere, in primis, il talento di saperle tradurre attraverso una vera scrittura e, in secundis, saper intuire l’elemento letterario, quindi artistico, attraverso il quale raccontarle.
E, per quanto mi riguarda, con Maurizio Matrone ci siamo.
In entrambi i casi. Con “Il mio nome è Tarzan Soraia” Matrone ci svela sentimenti insoliti e ce li svela sorprendendoci anche con l’inganno. Quell’inganno tiepido di cui è capace.Il mio nome è Tarzan Soraia.
Sono uno zingaro.
Sono un sinto.
I sinti sono zingari ma diversi da quelli stranieri.
Quelli stranieri si chiamano rom.
Sono scappato perché non ce la facevo più a stare lì.
Io abitavo al campo vicino al lago.
Ma non so che lago è.
E’ un lago piccolo ma ci sono le barche grandi.
I miei sono morti.
Ma nessuno mi ha detto come…

La storia narrata è quella del giovane Tarzan Soraia che si “costituisce” alla polizia e dichiara di non farcela più a sopportare la sua condizione di zingaro, di sinto, e chiede aiuto. Chiede aiuto alle istituzioni. Chiede aiuto, prima di tutto, ai poliziotti. Che quell’aiuto, e non solo loro, glielo concederanno. La storia di Tarzan Soraia è interessante e avvincente. Si evolve attraverso l’originale raccolta di mappe e documenti autentici ma anche attraverso una narrazione precisa. Quella di Maurizio Matrone che, dopo “Fiato di sbirro” e “Erba Alta”, ci consegna un altro romanzo strutturato in maniera semplice ma determinata. Un romanzo che parla di un viaggio e di una dimensione che a noi, sotto certi aspetti, può essere ancora sconosciuta. Ci parla di emarginazione e di costume. Ci racconta dell’amore “in divisa”. Che esiste pure quello. E Matrone ce lo racconta divertendoci e commuovendoci. Ci parla di assistenza sociale, di cooperative, di psicologi E di piccoli investigatori. Poi c’è il viaggio del lettore, e anche quello è importante, un viaggio autentico tra emozioni che appariranno insolite. Emozioni che l’autore ci consegna in maniera anche audace ma sicuramente molto bene documentata.
“Il mio nome è Tarzan Soraia” è una specie di poliziesco “alla rovescia” dove, solo alla fine, la verità tornerà a galla, senza sangue e cattivi forse, ma lungo tutta un’evoluzione stilistica letteraria che ripone Matrone, ancora una volta, tra i volti più rasserenanti del panorama della nuova letteratura italiana.

andrea villani

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