Amo il mistero e i giochi di parole. Intervista A Paola Varalli, Omicidio al Cimitero Maggiore

Paola Varalli si racconta con Milanonera e racconta la genesi del suo ultimi noir Omicidio al Cimitero Maggiore. Fratelli Frilli Editore

Quando è nata l’idea del Cimitero in quanto “scena del crimine”
«L’idea è nata dal fatto che io abito davvero in zona “cimitero” – anche se non in via Gallarate come le mie due squinzie – È in effetti il polmone verde più vicino e più vasto, in zona. Io pure a volte, come fa Anita, ci vado a camminare e mi incuriosisco a osservare le tombe.  Così un bel giorno, camminando al Cimitero Maggiore, tra cipressi e bossi, mi è venuta l’idea di… ma non posso rivelare troppo, vi tocca leggerlo!»

Le Squinzie, ovvero le protagoniste dei gialli di Paola, sono descritte così realisticamente e sono così uniche che potrebbero diventare personaggi televisivi o di un fumetto, cosa ne pensa l’autrice e da chi le vedrebbe interpretare.
«Mi piacerebbe moltissimo, ovviamente, come ad ogni autore! Per Anita vedrei bene Nicole Grimaudo oppure la Mastronardi o ancora Serena Rossi, invece il personaggio di Mirella dovrebbe essere interpretato da un’ attrice alta e bionda, forse la Colombari o Elena Sofia Ricci. Mi rendo conto che sono sogni, ma sognare non costa nulla».

Quanto di Paola c’è in ognuna di loro e perché?
«In Mirella c’è la professione, sono architetto anche io. Però mi identifico più in Anita e non solo perché le somiglio fisicamente (sono bruna e non proprio una stangona). Anita ha molto di me nel carattere e nella gergalità. Inoltre io ho fatto corsi di restauro mobili e mi diverto a fare la “falegnama” anche se non è il mio mestiere».

Il noir dove non c’è sangue, ma c’è morte, secondo te come rendere la suspense?
«La premessa è che io, da lettrice, adoro l’indagine intelligente, la scoperta, il mistero, i giochi di parole, ma non amo molto la crudeltà portata all’estremo, le descrizioni truculente e le atmosfere cupe e tristi. Detto questo credo si possa benissimo evitare di crogiolarsi nelle “torture”, dense di dettagli scabrosi, e allo stesso tempo creare suspance in altri modi. Per esempio facendo fare alle protagoniste qualcosa di proibito, qualcosa che dia ritmo alla storia e che tenga un po’ il lettore sulle spine, qualcosa che crei attesa senza necessariamente cadere nella descrizione di morti sbudellati o denti strappati ad uno ad uno, magari dal vivo. E poi adoro l’ironia, che non crea suspence, d’accordo, ma rallegra la vita, o no?»

Una Milano “diversa” e strana quella dei tuoi romanzi, quale è la Milano noir per te?
«La mia Milano è la periferia. Le squinzie agiscono tra quarto Oggiaro (senza incontrare Biondillo) il Gallaratese, Musocco, il Garegnano, Pero, con qualche puntata in Liguria a Gallarate o nei monti del Lecchese. Nel primo romanzo Mirella si reca in centro e la galleria Vittorio Emanuele diventa per un breve tratto protagonista, ma in generale direi che il clou delle mie storie è incentrato sul nordovest. Quella è la mia Milano noir. La Milano in cui le due curiose Sherlock in gonnella e McGyver “de noantri” , le due “Jessiche Fletcher” dei poveri, si infilano in guai grossi da cui (si spera) solo il commissario Santini riuscirà a salvarle»

 Nuovi progetti, a cosa stai lavorando?
«Ovviamente squinzie quattro e poi sto scrivendo altro, con due protagonisti diversi: un idraulico e un gommista (virile) che si improvvisano investigatori negli anni ’80. Ma forse è prematuro parlarne. Se mai uscirà sarà a fine anno o forse addirittura nel prossimo. Per ora è un progetto top secret». Non resta che farle un grosso in bocca al lupo!

MilanoNera ringrazia Paola Varalli per la disponibilità

Laura Marinaro

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