Andrea Carlo Cappi a Paura sotto la pelle. Bologna 1/2 dicembre

Venerdì 1 dicembre e sabato 2 dicembre si terrà a Bologna Paura sotto la pelle, il primo evento bolognese sulla paura.
Fra i relatori ci sarà anche Andrea Carlo Cappi, prolifico scrittore, sceneggiatore, traduttore e saggista italiano, che parlerà di Paura fra avventura e spionaggio.
Nei giorni scorsi, ho avuto il piacere di intervistarlo per MilanoNera, mediapartner dell’evento.
La foto di copertina è  di Alberto Aliverti

Andrea, anzitutto… vuoi parlarci un pochino di te e delle tue molteplici attività letterarie e culturali? Sono uno scrittore per vocazione, un pubblicitario mancato e un esibizionista militante. Come scrittore non riesco a smettere di generare storie, anche se dagli anni Novanta lavoro intensamente come traduttore, mestiere che sottrae sempre tempo alla scrittura. Come pubblicitario mi sfogo a creare sui social network campagne autogestite per i miei libri. Come esibizionista ho imparato a promuoverli e – lavorando da oltre vent’anni con Andrea G. Pinketts in una sorta di volontariato letterario – anche a presentare libri altrui, specie quelli meritevoli ma poco visibili.

Come scrittore, tu di norma prediligi i romanzi di genere thriller e di spionaggio, pur non disdegnando frequenti incursioni in molte altre forme di scrittura ed espressione; da dove pensi derivi questa tua passione?
Leggere libri permette di muoversi in territori e mondi diversi da quelli della vita quotidiana. Scriverli consente addirittura di crearli, abitarci e condurre esistenze parallele. Per questo mi muovo in molti generi, compreso il fantastico. Sentivo il bisogno di inventare storie prima ancora di essere alfabetizzato e oggi lo faccio anche per esprimere quello che penso, forse persino come terapia inconscia.

Quali sono l’importanza e il significato di Paura sotto la pelle, l’evento a cui tu partecipi come relatore?
Da sedici anni la paura domina culturalmente la società occidentale ed è diventata uno dei suoi moventi principali insieme all’avidità (di denaro, di sesso, di potere) che a sua volta è una risposta alla paura della morte. Si oscilla tra la paura e il suo netto rifiuto, quindi tra angoscia e incoscienza. Conoscerla nelle sue espressioni narrative permette di studiarne i meccanismi… senza averne paura. E contribuisce a generare difese immunitarie che permettano di indirizzarla nella direzione giusta.

La paura… Come si può, secondo te, definire in qualche modo questo complesso sentimento?
Al pari del dolore, di base la paura è uno strumento di difesa che dovrebbe tenerci lontani da ciò che ci può danneggiare. Ma, se ci si abbandona alla paura in modo irrazionale – cosa che per un verso o per l’altro capita a tutti – diventa essa stessa qualcosa che può farci del male. O dominarci.

È sempre un sentimento “negativo”?
La paura può essere istruttiva. Sono un fautore del pessimismo preventivo: la paura guidata in modo razionale può evitare situazioni di pericolo. Quindi a volte  ha persino un valore propedeutico.

Parlando di produzioni artistiche in senso lato, perché molti di noi “fruitori” (lettori o spettatori) adorano di solito provare qualche sano brivido?
La paura va esorcizzata. Ecco perché la narrativa ci gioca così tanto: finché rientra nella finzione, abbiamo la possibilità di controllarla. Se poi nella narrazione ciò che spaventa alla fine viene annullato, in un certo modo riusciamo a sconfiggerla.

Allargando il discorso a tutti i generi di produzione artistica, qual è secondo te quello che meglio si presta a destare veri sentimenti di paura e quale invece quello in cui è più difficile?
Potrei dire qualsiasi storia in cui, come lettori o spettatori, ci importa qualcosa dei personaggi: quando sono in pericolo, trepidiamo per loro. Ma a volte, sulla lunga distanza, l’antagonista si rivela più interessante e addirittura divertente. È il motivo per cui, facendo un esempio, Freddy Krueger da icona del terrore di film in film diventa più simpatico delle sue vittime.

Restando nel genere romanzesco, c’è qualche tecnica specifica per destare nel lettore profondi sentimenti di paura oppure ogni scrittore ricorre a tecniche e abilità particolari?
L’autore deve innanzitutto portare il lettore a un certo grado di identificazione con chi vive la situazione di paura all’interno della storia. Dopodiché tutto è legittimo, a patto che non sia prevedibile: i rumori sospetti nel buio che poi si rivelano prodotti da un gatto innocuo… non sono più un colpo di scena; e ormai nemmeno il mostro che un attimo dopo aggredisce la vittima  distratta dal gatto innocuo. C’è chi fa vedere al lettore in cosa consista la minaccia e c’è chi invece la lascia nell’ombra, rendendola più inquietante e misteriosa. L’importante è che il lettore speri che il personaggio ne esca vivo e, anzi, si chieda: «E adesso come ne esce?» Specie quando non è garantito che ne esca.

Qual è o è stato finora, secondo te, il miglior scrittore “di paura”?
Potrei citare Poe o Lovecraft, ma – forse perché come traduttore ero ancora più dentro la storia – ho provato autentici brividi traducendo pagine di Douglas Preston e Lincoln Child che mi hanno fatto riscoprire la paura del buio, o capitoli in cui Jeffery Deaver conduceva il lettore nella mente disturbante di un assassino, e ultimamente certe situazioni angoscianti narrate da Joe Hill (che, ormai si può dire, è in realtà figlio di Stephen King). In effetti, quanto più bravo è lo scrittore, tanto più efficace è la paura che genera.

Andrea, per finire usciamo dall’ambito letterario… da uomo di cultura e conoscitore profondo della nostra società, qual è, secondo te, la vera paura che dovrebbero/potrebbero avere, nella vita di tutti i giorni, l’uomo e la donna di oggi?
Quella che dovremmo avere sempre: la paura del sonno della ragione, che genera obbedienza cieca fanatismo, irresponsabilità, incoscienza. Bisogna temerlo perché, per citare Schiller, anche gli Dei combattono invano contro la stupidità.

L’appuntamento con Andrea Carlo Cappi è per venerdì 1 Dicembre a Bologna

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Gian Luca Lamborizio

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