L’elemento predominante è l’acqua. L’acqua del mare. Con le onde che vengono da chissà dove e portano a galla i ricordi e l’acqua salata che penetra nelle ferite. E brucia. Se nel precedente “Esche vive”, malinconia e ironia convivevano al cinquanta per cento, in questa seconda prova narrativa Fabio Genovesi rompe l’equilibrio a favore della prima. Malinconia, dopo acqua, è la parola chiave del romanzo. Questo non significa che l’autore di Forte dei Marmi abbia perso la capacità di farci star bene e ridere. Tutt’altro. C’è, per esempio, un dialogo tra due giovani in discoteca, nella prima metà, che da solo giustifica l’intero prezzo del libro e le 400 pagine edite da Mondadori. “Chi manda le onde” racconta la storia di uno strampalato gruppo di persone, piccoli e grandi, e tra di essi fantasmi e partigiani, i cui destini e strade, nolenti o volenti, finiscono per incrociarsi tra di loro. Sono legate dalla scomparsa di Luca, un surfista che esce di scena quasi subito, ma che resta sullo sfondo fino all’ultima riga, riportando a galla le nostre paure e fragilità. Genovesi, acuto cantore di questi anni bui, resta sempre sul crinale. Da un lato il mondo fantastico, dall’altro la realtà ruvida e impietosa, vista con gli occhi di che nel Dna ha scritto le parole sofferenza e lotta. ”Perché il problema non sono le bugie, ma la verità, che fa proprio schifo”. Racconta ancora una volta una piccola storia della provincia italiana che noi leggiamo con il rispetto e lo sguardo fermo che si deve alle grandi storie della vita. Meglio, molto meglio, del più celebre ed ex cannibale, Ammaniti.
Chi manda le onde
Alessandro Garavaldi