Dopo Il sezionatore e Prima di uccidere, best-sellers in Italia e in Germania, torna Marc Raabe con Sono qui, un nuovo sconvolgente romanzo.
La scelta del titolo è Ok, il prologo di classe è pienamente azzeccato e parte a cento all’ora, da grande thriller psicologico. E infatti le prime pagine volano, poi però il ritmo cambia e la trama si sperde un po’…
Ma cominciamo da capo: Jess Berg, – che poi scopriremo protagonista della storia, un pediatra quarantacinquenne di successo, separato da poco con in affido la figlia adolescente che abita e lavora a Berlino – fa il suo ingresso in scena in un flash back da incubo con lui tredicenne e sepolto vivo da un “uomo insetto”.
Scopriamo subito che Berg è un pediatra arrivato, che adora Isabelle, sua figlia che vive con lui, ma che è anche un uomo che non parla mai del suo passato. Ha calato il sipario tanto che si direbbe che lo voglia scordare fino a quando improvvisamente sua figlia viene rapita e la sua ex moglie Sandra viene uccisa a pugnalate, E in più il rapitore assassino gli ha lasciato un messaggio: «Non te la meritavi». Isabelle?
Evidentemente Jess è il bersaglio di un castigo, di una vendetta? Ma perché non meritava sua figlia?
Che sia per un qualcosa che risale a prima di un terribile incidente di cui la memoria gli torna solo a sprazzi nei sogni, ma che sembra averlo cambiato? Che sia collegato al collegio in cui ha passato l’adolescenza, dove avvenivano cose da dimenticare?
Perché Jess Berg veniva da una famiglia difficile e che si era spaccata (con la madre morta e il padre un mascalzone alcolizzato).
Travolto da uno strano e indefinito senso di colpa per riuscire a ritrovare sua figlia, Jess dovrà, anche se non gli piace, recuperare per forza questo suo lontano passato. Tornare al collegio, al cupo istituto di Adlershof, dove ha imparato a combattere e ha rischiato di morire. Perché per sua figlia, la sua Isabelle, è disposto a tutto. Anche a entrare e uscire dall’inferno un’altra volta.
Tutto sommato, “Sono qui”presenta punti validi. I flashback incuriosiscono e, sopratutto all’inizio il personaggio di Jesse Berg appare convincente ma, in seguito, quando la storia si disperde in troppi rivoli descrittivi, la suspence rallenta. Il tono della narrazione si raffredda come l’invernale paesaggio che le fa da scenario. Non sono riuscita a tifare per le “bambine scomparse”. Forse è colpa mia perché non essendomi calata fino in fondo nella storia e senza abbastanza elementi per appassionarmi, mi sono persa. Gli unici personaggi che mi toccano e che sento veri e umani sono Isabelle e Arthur. E poi cosa ha mai fatto Jesse, ‘sto poveraccio?
E alla fine questo romanzo più che un thriller psicologico mi sembra una drammatica e diabolica saga familiare.
Comunque il mio è solo un parere, tanto che sono convinta che anche stavolta Raabe avrà i suoi estimatori. Infatti in Germania hanno scritto di lui:
«Attenzione: se Marc Raabe proietta i suoi personaggi negli incubi peggiori, allora c’è il grosso rischio che capiti lo stesso anche a voi lettori.» Sebastian Fitzek, autore di Il ladro di anime
«Raabe fa emergere con grande violenza le più inquietanti paure dell’infanzia.»
Westdeutsche Zeitung