Come imparare a essere niente



alessandro banda
Come imparare a essere niente
guanda
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La premessa a una storia in cui il narratore non comparirà mai è quanto di più franco e astuto dia forma a un prologo teatrale seguìto, come per diretta processione dai drammi classici, da quadri di monologo o dialogo breve tra tre personaggi-icone: il Presidente, la Principessa e il Poeta.

Non dura a lungo l’enigma sulla loro identità, si dichiarano per voce di un contabile senza volto da subito inghiottito nel fluire dall’aldilà delle tre figure accomunate da delitti barbari e misteri irrisolti.
Archetipi contemporanei che, come ammesso nella dedica posta a conclusione dall’autore, sembrano ripetersi all’infinito al solo scopo di incarnare ossessioni.
La prima evidenza per il tramite del Presidente rapito e ucciso da una congrega di barbuti che cambiano continuamente nome, è certo la solitudine posteriore alla cronaca come allo sforzo autorale di avvalersi del documentato per sposare la tecnica tipicamente postmoderna di riscriverne le pagine.
Banda non lesina particolari sulle pratiche di camuffamento, né sulle versioni di un sequestro restituito alla memoria italiana dalla sola e inappellabile violenza di un corpo ripiegato in un baule. Non salta la descrizione dei sogni fino all’istante in cui i colpi di mitraglietta vanificano l’urgenza di una libera camminata nel vento.

E se sul replicarsi smisurato del medesimo stallo epocale si concentra un primo dialoghetto tra il Presidente e il Poeta, la parola più frivola solo in apparenza è data alla Principessa e alla schiavitù di un matrimonio minato da sotterfugi e tradimenti.
Sregolato dalle uscite inopportune del Principe gaffeur immerso in letture vuote fino all’abbandono di un ritratto pop per una morte non incidentale. Sullo stesso terreno, ma ben più dilatato compare il Poeta in uno sfogo liberatorio e triviale che, tracciando coerentemente con i due che lo precedono una frequenza stilistica fatta di un eccesso di periodi e carico lessicale – là dove sembra indispensabile evincere il livello dotto dell’autore – finisce per enfatizzare l’esito in bestialità contrapposte a preziosismi.

Se dunque è di flusso di coscienza e margine aperto del romanzo che si tratta, tuttavia, sembra poco restituire una maschera semi incosciente al terrorismo fiero o enumerare dettagliatamente gli amanti di una Principessa che non sarà mai nobile. Ed è altrettanto debole la versione di quei ragazzi di vita coinvolti nella punizione senza sconti di un Poeta qui avvezzo soltanto all’adorazione fallica. Resiste così purtroppo l’impressione offensiva di decidere per l’autocondanna di quest’ultimo scopertosi giudice delle proprie banalità rifinite, là dove invece resistono citazioni che oltrepassano la mediocrità: “La morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi”. Ecco che allora l’appuntamento con il niente dei tre protagonisti incorporei rischia di recidere il volto sia alla loro permanenza storica, che a una scommessa letteraria in potenza vibrante, ma più prossima alla leggerezza.

giulia valsecchi

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