Sarti Antonio e il malato immaginario



loriano macchiavelli
Sarti Antonio e il malato immaginario
flaccovio
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Mi hanno ingannato. Credevo di comprare un libro con Sarti Antonio, sergente, forse il questurino più simpatico di questa Terra, e invece mi sono ritrovato a seguire le gesta di Poli Ugo, viceispettore aggiunto, forse il questurino più stronzo di quella stessa Terra di prima. Una bella fregatura, eh? Ma tant’è.
Questo libro l’ho comprato a scatola chiusa, perchè le indagini di Sarti Antonio, di solito, a scatola chiusa si possono comprare: si tratta infatti di belle storie, dotate del giusto grado di complessità e di personaggi forti e credibili. Sarti Antonio, poi, è davvero una bella e riuscitissima figura di umanissimo antieroe: non è intelligentissimo, ma compensa questa mancanza con la tenacia e la consapevolezza dei suoi limiti; ha un capo ottuso che però rispetta e del quale esegue comunque gli ordini, perchè pensa che lui quello deve fare; soffre di colite (come me), si incazza spesso (io quasi mai), beve moltissimi caffè (io nessuno). La cosa che più apprezzo di Sarti Antonio, però, consiste nel fatto che nutre qualche dubbio sul mestiere che si è ritrovato a fare, e cioè quello del questurino. A volte pensa che esistano lavori migliori (ad esempio quando è costretto a sfrattare un poveraccio da casa sua); e a volte pensa che invece qualcosa di buono per questo mondo possa farlo anche un questurino, magari cercando di arrestare qualche ladro o qualche assassino. Ecco, io nutro per chi incarna il potere giudiziario lo stesso, ambivalente sentire: mi fido sempre poco di chi ha la facoltà di poterti picchiare, sparare, incarcerare e compagnia bella, ma riconosco pure che se non ci fosse qualcuno con questo potere il mondo sarebbe forse ancora più incasinato. Diciamo che sono un anarchico romantico, ma con i piedi per terra. Vabbè.
Sarti Antonio, sergente, è quindi un bel personaggio. Le sue indagini mi piacciono, e mi piace il modo in cui Macchiavelli gliele fa portare avanti: in pratica è come una pallina del flipper che invece di arrivare subito nel buco giusto, in linea retta, ci arriva a forza di rimbalzare di qua e di là, prendendo diverse direzioni e anche diverse mazzate (in senso figurato e non). Insomma, il mio questurino preferito è un semplice essere umano, pieno di difetti, ma sicuramente tendente al positivo. Chi, invece, è ugualmente pieno di difetti ma tende decisamente al negativo, è il suo collega Poli Ugo, viceispettore aggiunto, detto Lo Zoppo. E Poli Ugo è, nonostante il titolo del libro, il vero protagonista della storia del malato immaginario.
Lo Zoppo (guai a chiamarlo così, s’incazza e diventa violento) svolge la funzione di archivista alla questura di Bologna. Prima di diventare un piccolo burocrate era un operativo, e anche di quelli bravi; durante un servizio ebbe però una gamba maciullata (non si sa come; si sa però che lui incolpa di questo i suoi colleghi) e fu trasferito in archivio. Poli Ugo, viceispettore aggiunto, è un uomo chiuso, rancoroso, sadico, fascistoide e con una vita familiare squallida (una moglie che lo teme e un figlio che lo ignora). Però è anche dotato di una grande capacità di analisi e di sintesi, che fa di lui il migliore investigatore della questura. Solo che nessuno lo sa, perchè per tutti è solo Lo Zoppo, un rompicoglioni che si rifiuta di archiviare le tue pratiche se solo mancano di una firma, di un timbro o di una marca da bollo. Per Poli Ugo, che si studia ogni faldone prima di archiviarlo, non esistono casi insoluti. Quelli che i colleghi gli consegnano come tali, li studia prima di archiviarli, e li risolve. Trova assassini, ladri, spacciatori, violentatori; li individua e poi li lascia andare. Che vadano o meno in galera non è affar suo: a lui basta dimostrare a sè stesso di essere migliore dei suoi mediocri colleghi. Poli Ugo è quindi un uomo intelligente, ma è anche un uomo cattivo.
In confronto a lui, il non troppo sveglio (ma onesto) Sarti Antonio, esce fuori come un gigante di virtù. Viva Sarti Antonio, abbasso Poli Ugo. La storia non avrei molta voglia di raccontarla, a questo punto. Tutto comincia con una strana morte per droga, un’overdose di un ragazzo di buona famiglia che mai, fino a quel punto, aveva mai fatto uso di eroina. Su quel caso Sarti Antonio indaga ufficialmente, mentre Poli Ugo inizia a farlo in maniera sotterranea, con il solo, solito scopo di dimostrare quanto lui sia superiore agli altri. Ed è a questo punto, proprio all’inizio, che l’attenzione di Macchiavelli si sposta dal suo (e dal mio) questurino preferito a Poli Ugo. Forse Macchiavelli sentiva il bisogno di novità…
Chi non ha mai letto un libro di Loriano Macchiavelli deve infatti sapere che lui è solito seguire i suoi personaggi durante le loro vicissitudini. Ci va in giro insieme, ci parla, chiede loro delle cose. I suoi personaggi fanno quasi finta di non vedere che è lì con loro, ma non possono comunque evitare di interagire con lui. Per fare un esempio, di solito l’unità primaria al centro delle storie di Sarti Antonio è formata da:
Sarti Antoni, sergente; Felice Cantoni, agente; il sottoscritto (cioè Macchiavelli), nullafacente.
Nei libri di Sarti Antonio, dunque, la voce narrante parla in terza persona, anche se si tratta praticamente di una narrazione in prima. Una cosa inusuale e piacevole. In questo libro Macchiavelli sceglie di abbandonare Sarti Antonio (facendolo pure offendere) e di seguire passp passo Poli Ugo. Una scelta sbagliata, secondo me. Poli Ugo è un bastardo, uno forte coi deboli e debole coi forti, uno che abusa del suo tesserino di poliziotto, approfittando della sua posizione, per ricattare e ottenere favori sessuali. Se a qualcuno interessa sapere come indaghi, chi incontri, chi metta nel suo personale mirino, si legga il libro. Io ci sono rimasto troppo male per via dell’abbandono di Sarti Antonio, sergente.
Il libro è costellato dalle illustrazioni di Magnus, forse il più grande disegnatore di fumetti italiano. O uno dei più grandi, come minimo (mentre lo scrivevo mi sono venuti in mente Pazienza e Milazzo). Ho ancora sull’apposito scaffale fumettistico quella che molti giudicano la sua opera più grande, cioè il “Texone” del 1996; se esiste una Cappella Sistina a fumetti, beh, credo sia quella. Bisogna leggerselo, per rendersene conto. Io scoprii Magnus da piccolo, con i fumetti di Alan Ford. Ero poco più di un bambino, sei o sette anni, e mi capitò tra le mani un albo del Gruppo TNT, uno di quelli vecchi, probabilmente trovato in qualche busta a sorpresa comprata in edicola. A me, che leggevo i fumetti di Walt Disney e quelli di Braccio di Ferro, quei disegni pieni di personaggi grotteschi e di chiaroscuri (molti scuri e pochi chiari), fecero uno strano effetto. Lo so, Alan Ford era pure una serie comica, ma io sono riuscito a guardare i disegni di Magnus senza inquietarmi solo da qualche anno. Era bravo, Magnus.
P.S.Ah, mi sono dimenticato di dire che alla fine non si capisce neppure chi sia l’assassino. Due investigatori, tre possibili colpevoli. Lo consiglio fino ad un certo punto, ‘sto libro.

Sauro Sandroni

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