Faccia a faccia con Simone Togneri

610E34SjLsL._SX334_BO1,204,203,200_Dopo il successo di ARNOAMARO, Simone Togneri è tornato con un libro che si circonda di arte “Nature morte a Firenze“.
Ha concesso quest’intervista dove ci fa capire meglio come nascono  i personaggi e i colori che compaiono in “Nature morte a Firenze” edito dai Fratelli Frilli.

Nel tuo ultimo libro ci sono nature morte, colori, uno dei principali personaggi si chiama Renoir, tutto si svolge nella bella Firenze, tu hai fatto l’Accademia delle Belle arti. Quanto incide l’arte nella tua quotidianità?
Incide molto, devo ammetterlo, perché mi mostra il lato meno scontato di ciò che mi circonda. Il percorso dell’Accademia mi ha insegnato a non guardare il mondo sempre dalla stessa parte, ma di cambiare punto di vista. E soprattutto mi ha insegnato a osservare, a mettermi in ascolto. Credo che questo sia fondamentale per chi crea. Poco importa poi che si tratti di un libro, un dipinto o una canzone. Se però da un lato illumina il mio mondo con una luce diversa, dall’altro mi distrae perché penalizza gli aspetti concreti del quotidiano. Mi dicono che spesso ho la testa tra le nuvole. Solo che prima bisognerebbe avercela, la testa.

In “Nature Morte a Firenze” c’è una frase interessante: “Era come vedere lo stesso dipinto, ma dal retro della tela, con le ragnatele, le macchie di muffa e le cuciture“. Cosa è per te il retro della tela?
Tutto ciò che serve a sostenere il visibile. Come appunto la tela, senza la quale i colori non troverebbero supporto fisico. Ma è anche il tempo che si impiega a dipingere il quadro, gli schizzi preparatori, i ripensamenti. Allargando il cerchio, penso alle prove di un’orchestra, alla fatica di
imparare un copione teatrale, agli errori che portano involontariamente a un miglioramento di ciò che si fa. Nell’ambito di un romanzo penso a tutto ciò che non viene messo nero su bianco, ma che esiste tra le righe ed è fondamentale per far sì che una storia regga. Non serve che chi legge sappia tutto, ma è indispensabile che lo sappia chi scrive.
Ma è anche tutto ciò che è celato dallo splendore dei colori. Forse è banale e scontato dirlo, ma è tutto ciò che va oltre l’apparenza. E’ ciò che si trama nell’ombra, la polvere sotto al tappeto. La tristezza dietro al sorriso.

La prima pagina del libro è una stupenda descrizione emotiva della pittura attraverso il colore. Quanto il colore, e non solo il giallo, è importante?
Un mondo in bianco e nero sarebbe di una monotonia e di una noia mortale. I colori sono ciò che fa muovere i sentimenti e le emozioni. Non è un caso che molti psicologi attribuiscano loro precise influenze sugli stati d’animo. Nel mio libro c’è un pittore che se ne va in giro per Firenze a uccidere le persone prima di dipingerle, e in questa sua visione distorta della creatività (che in questo caso distrugge), in questa sua delirante interpretazione del concetto di “natura morta”, ho voluto attribuire un colore a ogni suo stato d’animo.

Dal tuo primo romanzo “Dio del Sagittario” ad oggi con “Nature morte a Firenze“, in che modo sono cresciuti i tuoi personaggi? E tu?
Sono passati dieci anni dalla pubblicazione di “Dio del Sagittario“, eppure mi sembra ieri che ancora lavoravo alla stesura. Forse non mi sono reso nemmeno bene conto di tutto questo tempo. Quindi, in tutta onestà, non so dire se i miei personaggi siano cresciuti o meno. Posso dire che nel corso degli anni si sono aggiunti molti elementi dei loro caratteri e delle loro storie personali, elementi che io ignoravo completamente. Hanno compiuto scelte, si sono messi in discussione anche sbagliando, sono caduti e a volte non ce l’hanno fatta a rimettersi in piedi. Però sono ancora qui a raccontarmi le loro vite. Lascio a chi avrà voglia di ascoltarli il compito di decidere se sono andati avanti, sono tornati indietro o si sono fermati del tutto. Stessa cosa vale per me nel ruolo di colui che ne racconta le vicende. Sento che nell’ultimo periodo il mio modo di scrivere è cambiato, ma non riesco a rendermi conto se si sia evoluto o involuto.

Per creare i personaggi tutti gli scrittori prendono spunto dal mondo intorno a loro , dai vicini, dagli amici o da persone che conoscono. C’è qualche personaggio da te creato che, invece, è nato attingendo da te stesso? Dove tu stesso sei stato fonte d’ispirazione?
E’ difficile creare un personaggio senza attingere da ciò che si vive o si conosce. Ci sono sicuramente degli stereotipi a cui si fa riferimento anche senza volere. Anche le storie, almeno nel mio caso, prendono vita da un evento o un dettaglio che appartiene alla realtà. Poi può capitare che tali personaggi taglino il cordone ombelicale con il mondo vero e vivano una vita completamente
slegata dalla loro origine primaria. Io non sono mai stato fonte di ispirazione per i miei personaggi, però è anche vero che qualcosa di me è sempre entrato a far parte di loro. Simòn Renoir e il commissario Mezzanotte, per esempio, rappresentano due lati opposti del mio carattere: sensibile il primo, ruvido il secondo. Insieme si completano e si bilanciano. Il percorso pittorico di Simòn
all’Accademia, altro esempio, è un po’ il mio. Come miei sono tanti, piccoli aneddoti che si perdono tra le righe.

Nature morte a Firenze” è edito dai Fratelli Frilli, com’è nata quest’avventura?
Con Carlo Frilli ci siamo incontrati la prima volta a Torino, a un Salone del Libro di qualche anno fa e c’è stata subito simpatia reciproca. A distanza di anni posso dire che siamo diventati amici. Poi, grazie anche all’aiuto di un altro caro amico, ebbi modo di far avere loro la bozza del romanzo che sarebbe
poi diventato “Arnoamaro”. La storia piacque e da quel momento è nata una collaborazione che spero potrà andare avanti ancora per molto tempo.

Tutti gli amanti del giallo conoscono i Fratelli Frilli che pubblicano libri “radicati nel bel paese”, con tematiche o costruzioni originali. Ma come editori, visti da uno scrittore, come sono?
Come dicevo prima, ho la fortuna di essere amico del mio editore. E credo che questa sia una cosa che non capita a tutti gli scrittori. Con Carlo, e con suo padre Marco, c’è un rapporto aperto e diretto in cui ognuno fa del suo meglio per portare avanti i progetti in cui crede. Loro credono molto nel romanzo italiano e in un territorio che è ricco di aspetti da scoprire. In quello che fanno mettono passione, animo, coraggio e sono di grande stimolo anche a noi che scriviamo. Rispondono subito alle mail e al telefono, organizzano eventi in cui coinvolgono i loro autori. Remiamo tutti nella stessa direzione, insomma, e questo è un aspetto fondamentale che, almeno per la mia esperienza, in altre
occasioni è mancato. Tanto per fare una citazione colta, posso affermare che “il mio editore è differente”.

Nella creazione prima, stesura e promozione poi, qual è la parte più faticosa?
Ti dirò che la parte più faticosa è quella delle presentazioni. Non sono molto bravo a parlare in pubblico e spesso farei più bella figura a stare zitto. Il lavoro dello scrittore, se vuole vendere qualche copia, oggi è più di marketing che di scrittura reale. E così mi frego con le mie stesse mani.
La parte che mi diverte di più invece è quella in cui rileggo e correggo, taglio, aggiungo e riscrivo. E’ lì che il romanzo comincia a “suonare” come voglio io, con le note e il ritmo che avrei voluto dargli già mentre lo pensavo. Quando sono a questo punto, allora vuol dire che la strada è quella
giusta.

Mezzanotte e Renoir ci regaleranno ancora delle nuove avventure?
Al momento sto lavorando su altri progetti, voci che chiedono la precedenza.
Però non è escluso che un giorno bussino alla mia porta con una nuova storia da raccontare. Sono una coppia imprevedibile e da loro non so mai cosa aspettarmi.
Spero che mi terranno comunque aggiornato.

Grazie a Simone Togneri per la disponibilità e per avermi aperto il suo mondo.

Manuel Figliolini

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