I frutti dimenticati

I frutti dimenticati sono parte della vita, momenti vissuti o solo immaginati, persone incontrate o mai conosciute, oggetti conservati, parole non dette, sensazioni ed emozioni intime e personali. Cristiano Cavina, giovane scrittore ravennate, vincitore del Premio Tondelli nel 2006, e finalista allo Strega con I frutti dimenticati scrive rivelazione, una confessione, un racconto della sua vita strettamente legata al territorio di nascita al quale si sente radicato, come una delle piante che vi crescono e che sono celebrate in occasione della “festa dei frutti dimenticati”. La festa si svolge a Casola Valsenio il terzo fine settimana di ottobre ed è un avvenimento che richiama molti forestieri nostalgici dei sapori e degli odori della terra, è “la stramberia di coltivare piante che nessuno ricorda”. “I casolani si prendevano cura di queste pinte piante dai nomi che spesso” commuovono o rievocano momenti di vita passata. Suor Luca Maria accudisce l’orto dei frutti dimenticati dove “prosperava un intrico di arbusti misteriosi. Azzeruole, giuggiole, pere volpine, sorbi, melograni”.

Cristiano è l’io narrante di una storia vera e commovente. Tutto comincia con due menzogne, quella di Cristiano alla compagna Anna e quella di un uomo anziano che mente alla casa editrice di Cristiano per contattarlo. Le bugie di entrambi nascondono una verità forte e difficile da accettare ma che cambierà la vita del protagonista aiutandolo ad affrontarla con maggiore consapevolezza. Cristiano a trentatrè anni si ritrova con un figlio in arrivo e una scoperta che lo legherà per due settimane al capezzale di un letto d’ospedale. Mentire facilita la vita, scrolla dalle responsabilità e Cristiano si sente un bugiardo soprattutto con se stesso. In questo libro si racconta e si svela partendo proprio dalla bugia che lo ha fatto vivere solo con la madre ed i nonni nella sua condizione di figlio senza un padre.

Cristiano incontra uno sconosciuto “come tanti altri di cui è pieno il mondo”. E’ suo padre, un padre assente e malato che al primo incontro pronuncia il suo nome “come se stesse bevendo un sorso divino”. Da quell’incontro la vita di Cristiano cambia, entra in un vortice di emozioni e ricordi che lo riportano all’infanzia, agli amici del paese, al rapporto con i nonni e la madre e al suo legame con Anna: tutto è messo in discussione. L’infanzia di Cristiano è popolata di sogni e fantasie racchiuse nella camera dei nonni. Come un palombaro  si immerge nei cassetti del comò “che contenevano ogni genere di cimelio dai rasoi consumati di nonna Cristina agli occhiali da vista del bisnonno”, Cristiano cerca, riporta alla luce vecchi oggetti fino al ritrovamento del suo tesoro. Una serie di oggetti legati a ricordi e momenti di vita da conservare e non gettare via, che nelle esplorazioni del piccolo Cristiano si ripropongono  un pò come avviene con le piante dell’orto dei frutti dimenticati di suor Luca Maria. Invece delle piante spinose e degli arbusti intricati, Cristiano cura le “cianfrusaglie” intessute di vita e legate alle persone a cui appartengono. L’infanzia e la giovinezza di Cristiano si nutrono di quegli oggetti e dell’immaginazione che lo porta ad inventarsi un papà traendo dalla lettura dei libri il modello perfetto “era pieno dei ricordi di tutte le persone che avevo vissuto fino a quel momento, era sempre con me, indomabile come Cirano”. Negli anni riempie così le assenze della sua vita che “era un puzzle a cui mancava una sagoma”.  Ben presto la scoperta della verità ed una nuova responsabilità fanno di Cristiano un adulto che si muove  ancora come un palombaro ma stavolta con “uno scafandro pesantissimo addosso”. Non è più un ragazzo ma è diventato un uomo con due situazioni da gestire. Se da una parte una vita sta venendo al mondo per fortificarlo e sta per assaporare e inalare il profumo di quei frutti dimenticati, dall’altra una vita lo sta abbandonando di nuovo e definitivamente e “non vedrà più una festa dei frutti dimenticati”. Cristiano nel momento del dolore si riscopre, si sente come una pianta le cui radici sono ancora più attecchite nel terreno, è come le piante di corbezzolo, coi loro rami “in equilibrio precario tra tempi diversi…. i primi a ricrescere nei terreni bruciati…fiori e frutti insieme…la magia dei frutti e dei fiori che crescono contemporaneamente in mezzo a quelle foglie sempreverdi”.

Innanzitutto due curiosità che sono d’obbligo: “Come stai vivendo la candidatura allo Strega e come concili la tua doppia attività artistica di pizzaiolo e scrittore?

Agendina alla mano, la concilio con mio Zio Antonio, il proprietario della pizzeria. Ha una insegna luminosa sopra la cella dei dolci,i quelle dove scorrono le scritte luminose, tipo gli indici della Borsa. C’è scritto “LA PIZZERIA IL FARRO E’ APERTA TUTTI I GIORNI TRANNE IL MARTEDì, ANCHE CON PIZZE D’ASPORTO” e poi ci sono tre asterischi che lampeggiano, e continua “E’ USCITO IN LIBRERIA L’ULTIMO ROMANZO DI CRISTIANO CAVINA (PIZZAIOLO QUANDO C’E’). Ecco, sono pizzaiolo quando ci sono, quando non sono in giro per gli incontri con i lettori.

Cosa rappresentano per Cristiano la bugia ed il ricordo?

Per quel che mi riguarda, la bugia è una forma di difesa e un’attitudine a cui si è destinati dall’infanzia, e che poi viene coltivata ad arte crescendo. Da piccolo mentivo sempre ai miei amici che mi chiedevano perchè non avevo il babbo, inventando storie assurde, anche divertenti. Era l’unico modo che avevo per essere al centro dell’attenzione. I ricordi, di per se, sono bugie, a volte innocue, anche perchè tutti i ricordi sono sballati, resi diversi, nel bene o nel male, rispetto ai fatti realmente accaduti. Ma deve essere così.raccontare è comunque raccontare bugie, non c’è altro modo per rendere ‘narrativa’ la realtà. E’ come truccare il motorino che ti hanno appena regalato per il 14esimo compleanno. Per sentirlo davvero suo, un ragazzino deve modificarlo subito per portarlo dai 50 km all’ora ai 90.

Cristiano “come la pianta del corbezzolo”, come commenti questa similitudine?

Beh, diciamo che i Corbezzoli non sono particolarmente utili in cucina, il sapore non è propriamente divino, è anzi stopposo, però hanno bellissime foglie color smeraldo e, cosa magica, a dicembre sui rami sono presenti allo stesso tempo i fiori, campanelle color avorio, e i frutti; in perenne tensione tra passato e presente. E’ una pianta perfetta per ornare, anche se manca di sostanza. Però, riesce a crescere anche nei terreni più difficili, tipo quelli incendiati; le guardie forestali la usano appunto per rimboschire le aree bruciate. Mi ricorda tutti i maschi della mia famiglia materna. Gente con cui magari non ti ci nutri l’anima, ma ai quali per un qualche motivo è impossibile non voler loro bene.

cristina marra

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