Il canaro della Magliana – Intervista a Massimo Lugli e Antonio Del Greco

51m7+r-mvuL._SX330_BO1,204,203,200_La redazione di Milano Nera ringrazia Massimo Lugli e Antonio Del Greco per questa breve intervista.
Non per vanità ma per conoscenza. Vorreste presentarvi?
Massimo Lugli.
Sono stato giornalista di nera per 40 anni e ho la passione della scrittura da quando ero ragazzo. Ho pubblicato il primo libro nel 98, un saggio dal titolo “Roma Maledetta” edito da Donzelli. In seguito mi sono dedicato alla narrativa: 17 romanzi tra cui “L’Istinto del Lupo” arrivato terzo allo Strega nel 2009. Sono single, ho la passione delle arti marziali e del tiro a segno, vivo con un bull terrier di un anno e mezzo, Taddeo che è la luce dei miei occhi.

Antonio Del Greco. Sono entrato in polizia nel 1978 e ho sempre svolto incarichi di prima linea. Da Milano (dove, giovane funzionario, rimasi ferito da un militare impazzito che sparò in un seggio elettorale) a Roma dove, negli anni 80, mi sono occupato di tutte le indagini più clamorose del periodo. Ho lasciato la Ps con l’incarico di dirigente della quarta zona di frontiera e in tutti gli anni passati metaforicamente in divisa posso dire di essermi sempre impegnato con tutto me stesso. Sono appassionato di pugilato, ho il cuore giallorosso, moglie e due figli e stravedo per i miei nipoti, le uniche persone al mondo che hanno il potere di farmi fare tutto quello che vogliono.

 Avete già lavorato insieme nella stesura di Città a mano armata, ma vorremmo sapere come riuscite a scrivere a quattro mani e, se possibile, ci piacerebbe scoprire chi apporta cosa al lavoro dell’altro.
Il nostro lavoro è perfettamente sinergico. Ogni passaggio, ogni riga, è frutto di un’elaborazione a due. Massimo ci mette le parole, Antonio l’esperienza e tanta fantasia. Ci incontriamo tutte le settimane per mettere a punto la trama e ci sentiamo diverse volte ogni giorno per correzioni, modifiche, rivisitazioni del testo. Scrivere Città a Mano Armata è stato un percorso all’indietro nel tempo: non è solo la vicenda umana e professionale di un investigatore ma soprattutto un flashback di quegli anni indimenticabili per entrambi. Con il romanzo sul Canaro, abbiamo dato fondo alla nostra inventiva visto che la trama usa la cronaca solo come spunto, la storia centrale è quella dell’amore impossibile tra una poliziotta e un ragazzo allo sbando della Magliana. Massimo punta molto sullo stile letterario, Antonio sugli sviluppi, la coerenza con la realtà e l’intreccio. Da praticante taoista, Lugli definisce il nostro lavoro una perfetta interazione tra yin e yang.

Quando ho la fortuna di intervistare uno scrittore, spesso rivolgo la domanda “immagina di essere al tavolino di un bar con il tuo personaggio, di cosa parlereste?”. Nel vostro caso, ciò è accaduto nella realtà e non è stata una piacevole chiacchierata. Cosa avete provato a stare a contatto con un personaggio come Il Canaro della Magliana?
A Pietro De Negri, il vero Canaro della Magliana, vorremmo chiedere cosa lo ha trasformato da mite e remissivo complice di Giancarlo Ricci nello spietato assassino che lo ha torturato e fatto a pezzi. Vorremmo sapere quale meccanismo gli è scattato nel cervello, nell’anima e se c’è stato un punto di non ritorno. Vorremmo domandargli se, inizialmente, aveva solo intenzione di spaventare Ricci e costringerlo a chiedergli scusa, a ottenere un po’ di rispetto e considerazione (come ha sostenuto durante l’interrogatorio) o se aveva, fin dal principio, l’intenzione di ucciderlo. E vorremmo sapere cosa risponde alle accuse e alle insinuazioni, più che comprensibili umanamente, della mamma della vittima.

 Giornalisti e poliziotti. Siete davvero come vi descrivono o siete diversi dai colleghi di carta e inchiostro?
Molto diversi, soprattutto i poliziotti. Quelli dei film, delle fiction o dei romanzi, sembrano alieni rispetto alla realtà: si occupano di un solo caso, non si mettono mai a tavolino a compilare un verbale, hanno una libertà dalla burocrazia e dall’ordinaria amministrazione che, purtroppo, non esiste. E sparano troppo.
Il discorso sui giornalisti è abbastanza simile. I pochi esempi letterari sono una sorta di investigatori ossessionati da un caso che scompaiono per giorni dalle redazioni, intervistano, fanno a pugni, tornano, scrivono, escono di nuovo. E i capiredattori insopportabili? La redazione? I titoli, i turni, la “cucina” quotidiana? Con un pizzico d’orgoglio (Massimo Lugli) posso dire che Marco Corvino, il mio personaggio seriale di sette romanzi, è l’unico, vero, cronista della letteratura italiana. Per questo molti colleghi lo amano (o lo detestano).

La letteratura – anche quando è imparentata con la cronaca nera – è solo svago o c’è qualcosa di più?
La letteratura è sempre qualcosa di più del semplice intrattenimento, anche la più popolare. Il solo fatto di leggere, in un mondo ormai fatto di immagini, di post, di clic e di serie tv, è un atto intellettualmente diverso, una formazione dello spirito. Non storciamo il naso davanti ai romanzi rosa, ai gialli popolari, alla manualistica. Al contrario: inducono alla lettura gente che, probabilmente, non avrebbe mai preso in mano un libro, quale che sia. Se poi, romanzo dopo romanzo, uno passa da “Il Carezzevole” di Massimo Lugli a Thomas Mann, tanto meglio. Leggere, sempre e comunque, è un’elevazione della mente, stimola la fantasia, la creatività, è qualcosa che va al di là della semplice fruizione. Odiamo gli intellettuali da salotto con la puzza sotto il naso. E ci lasci dire che la “Newton Compton”, con i suoi prezzi accessibili e la varietà dei titoli, ha il grande merito di diffondere la lettura in modo trasversale.

A differenza di molti lettori, avete visto da vicino omicidi e altri atti violenti. Inutile chiedervi se sia peggio la realtà o la fantasia, ma credete possa esistere un legame di reciproca influenza tra le due o che la polemica secondo cui la finzione possa influenzare gli atteggiamenti degli appassionati del genere crime possa avere un fondamento? Insomma, si può diventare un criminale avendo una biblioteca piena di romanzi noir?
No, non crediamo che il genere noir sia criminogeno. E’ un’equazione troppo semplicistica. Un paragone che facciamo spesso, tanto per restare al Canaro, è quello con il racconto “La botte di Amontillado” di Edgar Allan Poe. Non pensiamo che Pietro De Negri lo abbia mai sentito nominare e non ne ha certo avuto bisogno per elaborare il suo progetto di morte e di dolore. E’ vero che la realtà (e ne sappiamo qualcosa) è spesso molto più spaventosa, crudele, imprevedibile di qualunque trama di libri o di film o televisione ma è quella che spesso influenza le trame e non viceversa. Tentiamo idi spiegarci meglio: nessuno diventa un assassino leggendo un romanzo, ma un romanzo può parlare e prendere spunto da un omicidio, come nel nostro caso. Al contrario, invece, crediamo che leggere possa avere un effetto catartico su una mente violenta, di scarico e sublimazione di certe pulsioni.

Non c’è intervista che si rispetti se non termina con la classica domanda: “progetti futuri”?
Visto che non c’è 2 senza 3 stiamo completando la stesura di un nuovo romanzo che sarà più lungo ed elaborato del precedente e parte anche questo da un fatto reale: un clamoroso furto in trasferta in una banca di Marbella messo a segno da una gang di “cassettari” romani negli anni 80. La vicenda è lo spunto per raccontare l’evoluzione della malavita di Ostia, attualmente sotto i riflettori per le note vicende recenti, da allora fino ai nostri giorni. Come al solito, lavorando assieme, ci stiamo divertendo moltissimo e questo, a nostro modesto parere, è una garanzia. Se un autore non si appassiona al suo lavoro, difficilmente lo faranno i lettori. I riscontri che abbiamo avuto con i libri precedenti ci spronano a fare sempre meglio perché ogni singolo libro è una sfida per uno scrittore. Da solo o a quattro mani non importa.
Grazie ancora per la disponibilità e vi auguriamo una buona scrittura.
Qui la nostra recensione a Il canaro della Magliana

Mirko Giacchetti

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