Il castello dei falchi neri – Marcello Simoni



Marcello Simoni
Il castello dei falchi neri
Newton Compton
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Il castello dei falchi neri, una vera e propria ode alla falconeria questo nuovo, scatenato e coinvolgente thriller storico di Marcello Simoni, ambientato a Napoli e Campania, Anno Domini 1233, in pieno (o Basso) medioevo.
Falconeria nobile arte: già nota agli egizi più antichi, in Cina  si cacciava con i rapaci già 2000 anni a.C. I romani la praticavano. Così fu in Giappone, India e Persia. Dopo i secoli bui, a partire dal IX secolo ritornò di gran voga in Europa e nella penisola italica. La caccia con il falco affascinò e divenne una vera passione per Federico II che, oltre a documentarsi leggendo tutto ciò che allora si conosceva sulla  caccia con i rapaci, come Il De cura accipitrum di Adelardo di Bath e il Kitab al-mutawakkil di Abu Zayd, scrisse un vero e proprio trattato di falconeria: il DE ARTE VENANDI CUM AVIBUS. Ma a suo principale merito va il fatto di aver aperto una nuova strada alla falconeria nel mondo occidentale. 
Dopo aver convocato infatti  presso la  sua corte alcuni abili falconieri mediorientali, fece insegnare l’uso del cappuccio (praticato nel mondo arabo) sulla testa del volatile,  in sostituzione della barbara  tecnica di “cigliare” (cucire le palpebre dei rapaci e  poi allentare pian piano  le relative   suture durante l’addestramento) fino ad allora utilizzata in Europa.
E proprio questa nuova tecnica, ovverosia l’uso del cappuccio è  diventato l’onore e il vanto dei Grifoni, da secoli considerati insuperabili maestri nell’allevamento dei loro rapaci, sopraffini cacciatori ma anche ambiti come  veri e propri status symbol per i nobili a quell’epoca.
Le tre parti in cui è suddiviso il romanzo si aprono con titoli parlanti. La prima: Herodius, definizione medievale dei falconi come  l’astore (accipiter gentilis) falco gran cacciatore,  ma anche il girifalco ecc . La seconda:  Grifan che è poi  il falco britannico o aelium, esemplare di uccello grande quasi come un’aquila, e la terza con Ruckh, il leggendario grifone di Marco Polo.  In questa storia tuttavia impersonato da un  grosso esemplare di aquila coronata (Stephanoaetus coronatus) proveniente dall’Africa sub-sahariana, con un’apertura alare capace di superare il metro e ottanta di lunghezza.
Ora però, dopo questa lunga ed esplicativa premessa,  passiamo a farvi assaggiare la trama quel tanto da invogliarvi, ma senza svelare troppo.
Dopo aver preso parte alla vittoriosa VI Crociata (l’unica conclusasi per vie diplomatiche con un trattato) di Federico II, e ai due successivi anni di  campagne in terra saracena, il nobile campano  Oderico Grifone, figlio primogenito di una antichissima famiglia di origine longobarda, accompagnato da Al-Qualam, un misterioso pellegrino dagli occhi verdi che ha salvato da sicura morte, sta facendo ritorno alla avita  magione  circondata da un fitto boscoso intrico di alberi e forra mediterranea  e cespugli nella foresta campana  tra Acerra e Nola, nota come il Feudo dei Grifoni. Ma al suo arrivo,  scoprirà di essere stato creduto morto. Una lettera infatti ricevuta dal fratello minore, padre Landolfo, maestro cantore, tramite uno dei frati docenti dello Studium, la nuova università fondata a Napoli da Federico II prima della crociata, annunciava la sua morte in battaglia dopo il ritorno in patria dell’imperatore.  Sia la madre Engilberta  che il padre Aldelmo Grifone l’accolgono  sbalorditi. Anche Maomin, il maestro  falconiere di  un castello dotato di in un’altissima torre e della sua famosa voliera di falchi addestrati, i più intelligenti e invidiati del regno di Sicilia, e sicura  fonte di parte del reddito familiare, era convinto di non vederlo mai più. Epperò il  ritorno di Oderico  pare solo destinato a riaprire piaghe che si speravano chiuse. La  sua famiglia sembra caduta in disgrazia, i servitori sono stati liquidati  e il castello quasi in  abbandono. Le esose tasse imperiali, a detta del padre, hanno ridotto  all’osso il loro ricco  patrimonio, le foreste e i mulini prima  onore e vanto della proprietà non rendono più o sono in disuso e purtroppo, per tacitare i creditori, suo padre ha anche concesso in moglie  sua sorella, Aloisia, a un personaggio vicino alla corte locale, tal  Rogerio Castagnola,  molto ricco ma di discutibile  reputazione. E, come se  non bastasse,  Fabrissa d’Acquaviva , la bella ragazza dagli occhi violetti che aveva giurato amore eterno a Oderico  prima della sua partenza per  Terra Santa, convinta anche lei della sua morte, ha accettato di sposare il viscido  fratello di suo cognato, Goffredo Castagnola.
Incaricato dal padre di andare a trattare per suo conto  a Napoli  con la badessa Mobilia e Ettore di Montefuscolo, il giustiziere della Terra Laboris al fine di ottenere da loro, nella sua qualità di reduce dalla Terrasanta, un  miglior trattamento economico, Oderico  ubbidisce,  anche se si rende conto che la faccenda non è chiara e sicuramente madre, padre e fratello minore gli nascondono qualcosa.  Qualcosa che sarebbe strettamente legato  al feudo dei Grifoni, e in particolare a  una certa  collina che tra i suoi fitti boschi cela un segreto tesoro, ambito da molti.  Qualcosa destinato   a farlo cadere  in una trappola, architettata abilmente, per incastrarlo. Riuscirà infatti  a incontrare la sorella,  a rivedere solo per un attimo il suo amore  Fabrissa … Poi cominceranno i guai e le accuse ma per fortuna,  mentre una fatale  morsa pare pronta a  stringersi su di lui,  otterrà  la complicità e l’avvallo  della nonna dell’ex fidanzata, Foresta d’Acquaviva. Ma non potrà  sfuggire al successivo vortice di angosciosi avvenimenti, pronto a risucchiarlo pericolosamente. Nel tentativo infatti di aiutare la famiglia, Oderico si troverà , suo malgrado, indirettamente implicato in una serie di truci delitti, che appaiono imputabili a rapaci. Volatili da  sempre  motivo d’orgoglio e di onore del casato dei Grifoni potrebbero essere stati  utilizzati  per uccidere a comando?
Un incessante turbinare di amori, intrighi, tradimenti, amici fidati e non, fughe, sfide cruciali, colpi di scena che costellano come sempre anche questo intrigante, avventuroso  e  fiabesco romanzo di Marcello Simoni e terrà  il lettore avvinto e con il fiato sospeso per oltre 250 pagine.
Scenario palpabile, per una perfetta ricostruzione, impossibile dubitarne, storico ambientale e con moltissime personaggi poi realmente esistiti a dimostrare la profondità e cura della ricerca dell’autore,  che ci regala  un’affascinante lato di Napoli basso medievale, compresi gli infiniti  antichissimi dedali sotterranei,  sicuramente pochissimo conosciuti dai più.
Personaggi centrati ed equilibrati, tra i quali si distaccano con prepotenza la madre di Oderico, drammatica ma convincente figura di protagonista da tragedia greca, Foresta d’Acquaviva, la nonna della bella  Fabrissa, la gran dama, sicura, ironica e dominatrice. In tutti i sensi una vera forza della natura scatenata, e l’intrigante  personaggio  del pellegrino dagli occhi verdi, stuzzicante e indefinibile, stavolta relegato a interpretare solo  un utile cameo ma forse chissa?  Magari destinato a tornare in un diverso futuro?  

Patrizia Debicke

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