Il Pozzo delle Anime di Marcello Simoni, il suo quarto romanzo, con protagonista Girolamo Svampa frate domenicano e inquisitore, ambientato nella Ferrara del XVI secolo, è un thriller storico molto intrigante, caratterizzato da antichi misteri, simboli arcani e credenze millenarie.
Una storia di inquisizione ma con per sottofondo strisciante e terrificante la magia nera. Magia nera che, con i misteri legati all’esoterica tradizione del negromantico rito del yihud, tramandato dal cabalista Ramak e in grado di aprire la porta per l’aldilà, metterà a dura prova persino la logica della mente dell’inquisitore. Lui fra’ Gerolamo Svampa, un personaggio molto particolare, un domenicano razionale come uno scienziato ma al contempo uno straordinario esperto di demonologia e stregoneria.
Di carattere abitudinario, poco diplomatico anzi spesso scostante con il prossimo, Svampa si muove sempre secondo un suo preciso codice morale e in nome della chiesa per l’inquisizione ma allo stesso tempo ne aborre certe degenerazioni che in passato l’hanno portata a condannare a torto suo padre.
Infatti, Gerolamo Svampa è figlio di uno stampatore di Venezia, innocente ma accusato di eresia, e porta ancora impresso a fuoco sul collo il marchio di un roveto ardente ingiustamente inflittogli quando era un bambino. Ma ora, senza indugiare oltre, passiamo subito al libro.
Ferrara, 1626. In una notte di ottobre, un cabalista, il coltissimo rabbino sefardita Salomon Cordovero, è stato scoperto in un campo semiabbandonato del convento dei frati gesuati di San Girolamo, un tempo un cimitero ebraico, ucciso brutalmente. La vittima, che è stata ritrovata da una bambina ebrea muta, Rahel, figlia del rabbino Pinhasche presso il quale alloggiava Cordovero, presenta il volto rivolto, quasi affondato, nella terra e la schiena squarciata, presumibilmente con una lama affilatissima, tanto da poterne scorgerne le vertebre. Chi l’ha ucciso? La superstizione contagia la gente e scatena il terrore.
Possibile che uno spirito malvagio si stia aggirando per le strade? Potrebbe trattarsi rifacendosi alle più antiche credenze ebraiche del malach ah-mavet, ovverosia l’Angelo della morte?
Un orribile particolare legato al cadavere richiede l’attenzione dell’inquisitore : l’assassino ha asportato un osso alla base della nuca della vittima. Esattamente da quella zona del cranio, secondo le più remote credenze esoteriche, ritenuta il punto da cui si espandeva la scintilla immortale trasmessa agli uomini dall’angelo Metathron, lo scriba di Dio. Possibile che si tratti di un omicidio rituale?
Insomma, par certo che lo spietato assassino stia seguendo qualche arcano cerimoniale che lo costringe a profanare oscenamente i corpi delle vittime.
L’incarico di trovarlo e arrestarlo e dunque un’indagine per conto del Sacro Uffizio su quel macabro omicidio, verrà affidata a fra’ Girolamo Svampa.
Monsignor Ridolfi che ha appena affrontato per lui, con il pugnace supporto di padre Capiferro , segretario del Sant’Uffizio e compagno di avventure del giovane, un vivace e feroce dibattito o meglio uno scontro presso il palazzo del Sant’Uffizio, preferisce allontanare il suo protetto da Roma, facendolo viaggiare scortato da Capiferro, nella carrozza che riporta a Ferrara da Roma il cardinal legato, Francesco Cennini de Salamandri.
Arrivati nella città estense, il nostro fra’ Girolamo, dovrà però presentare la sua patente concessa dal Maestro del Sacro Palazzo e confrontarsi energicamente con l’ambiguo e fanatico inquisitore generale in carica, il domenicano fra’ Paolo de Francis che ritiene di aver già risolto il caso. O meglio che non esista un caso. Le diverse istruzioni di Svampa gli consentiranno tuttavia, anche se a fatica, di ottenere uno striminzito verbale sull’accaduto.
Dopo una minuziosa ispezione sul luogo esatto dell’omicidio, nel vecchio Campo di Borgo di Sotto nella cerchia del convento di San Girolamo, i due domenicani cercheranno invano risposte nell’antica sezione dell’archivio religioso su quell’antico sepolcro di un cimitero ebraico abbandonato.
Tra i quartieri e le strade della Giudecca, , mentre l’autore del macabro omicidio, apparendo e scomparendo a suo piacere, protetto dalle anguste vie del ghetto, autentico “serraglio” in cui vive semi imprigionata una comunità di millecinquecento persone tra sefarditi, aschenaziti e italkim, divisa in ben tre sinagoghe o scole , ha ripreso a uccidere senza pietà, Svampa dovrà riuscire a sciogliere il macabro enigma, in grado di sfidare persino la sua formidabile razionalità.
Non sarà facile trovare il bandolo per sbrogliare il caso. Gli serviranno anche l’indiretto appoggio di Dolce Fano, occhi, potere e voce e onnipresenti del ghetto e gli indiretti suggerimenti e oscuri terrificanti dubbi , forniti della indecifrabile piccola muta Rahel…
Per sua fortuna, a duettare con lui sul palcoscenico di una perfetta ricostruzione ambientale ferrarese, ci sarà una volta di più in veste di spalla e coprotagonista , padre Francesco Capiferro, l’enciclopedico segretario della congregazione dell’Indice, ormai stufo di passare le sue giornate da solo a fumare la pipa e a imparare a memoria tutte le parole stampate dello scibile umano. E, naturalmente, arriverà anche, per coprirgli le spalle difendendolo dalle mortali insidie nemiche.
Ma non saranno solo gli omicidi a tenere occupato il nostro inquisitore. Perché stavolta nella vicenda, ma l’avrete già capito, si inserirà anche, decisiva e con prepotenza , l’indimenticabile e ammaliante donna d’intrigo della corte papalina…
Intervento, e quanto mai conturbante intermezzo al femminile per Svampa con la bella cantante dai capelli rossi, pronta a chiedergli il saldo del debito contratto con lei. Anche stavolta molti dei personaggi che attraversano la colta e avvincente narrazione, plasmati con la consueta cura e abilità da Marcello Simoni , sono realmente vissuti vedi: padre Francesco Capiferro, il cardinal Ludovisi, il cardinal Salamandri…
Ma in più nel suo “Il pozzo delle anime”, ambientato a Ferrara nel 1626, Marcello Simoni introduce ed esalta l’indipendenza e la capacità dirigenziale di un’ebrea, una persona realmente esistita, Dolce Fano, donna volitiva, intraprendente, battagliera e in grado di condurre al meglio l’attività economico-finanziaria ereditata dal marito, mantenendo sempre un buon rapporto con i rabbini e i correligionari.
Il ghetto venne istituito a Ferrara con un editto del Cardinale Cennini de Salamadri, datato 23 agosto 1624, in una delle zone più antiche della città, a poca distanza dalla cattedrale e dal Castello Estense e comprendeva via dei Sabbioni, via della Gatta Marcia e via della Vigna Tagliata .
Dolce Fano era la ricchissima vedova del banchiere Abram de Vita. Dotata di uno straordinario talento per gli affari ma anche attenta e lungimirante in politica, fu sempre in grado di trattare economicamente con il cardinal legato. Approfittò dell’annuncio del provvedimento del «recinto degli ebrei» per prendere in affitto dai Consumati il loro splendido palazzo che si ergeva sul limitare del perimetro, in modo da consentire ai postulanti (non ebrei) di accedere segretamente senza essere visti, evitando pettegolezzi.
Dopo lei però, sul palcoscenico di Ferrara scenderà più rapidamente il sipario sulla politica di accoglienza intrapresa in passato dagli Este verso gli ebrei .
Con la devoluzione nel 1598 e cioè con l’annessione di Ferrara allo Stato della Chiesa, nel timore di perdere i loro i diritti, già molti di loro avevano già scelto di seguire i loro duchi a Modena, nuova capitale del ducato.
Il pozzo delle anime – Marcello Simoni
Patrizia Debicke