Il silenzio dei chiostri



alicia Gimenez-Bartlett
Il silenzio dei chiostri

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Nel convento di suore Cuore Immacolato di Barcellona frate Cristobál è stato ucciso.
La bontà e la totale abnegazione all’ufficio dello studioso cistercense rende il fatto avvolto nel più cupo mistero. Il religioso era stato chiamato a occuparsi della conservazione della secolare reliquia del Beato Asercio de Montcada, custodita nel sacro luogo.
La contestuale scomparsa del corpo incorrotto rende più ancor scabrosa l’intera vicenda. A far luce sull’episodio è chiamata l’ispettore Petra Delicado, con al fianco il fido vice Fermín Garzón e l’ausilio di due poliziotte.
Nessuno ha visto e sentito nulla. Solo un bigliettino nelle mani degli investigatori: “Cercatemi dove più non posso stare”.
L’omicidio e il relativo furto escono presto tanto dalle stanze del convento quanto dai corridoi del commissariato. I mass media si buttano a corpo morto con la consueta voracità e l’operosità altrettanto famelica dell’ufficio stampa della polizia aiuta a nevrotizzare pensieri e gesti dei protagonisti.
Ottavo caso per Petra Delicado (escludendo la raccolta di racconti Il caso del lituano) dalla penna sempre più felice di Alicia Giménez Bartlett.
Può risultare sulle prime elementare, ma se si dovesse scegliere un colore con cui disegnare l’intera storia, questo sarebbe il nero.
Il silenzio dei chiostri contiene l’oscurità senza fondo a cui l’autrice catalana ha fatto leva per fare uscire da sé Giorno da cani o Messaggeri dell’oscurità.
Sono i luoghi della storia ad assumere un profilo decisamente velato al mondo sensibile: il convento, dove abiezione e mistero della fede si danno la mano senza troppo smarrimento; il commisariato, sempre più in pasto ai nuovo dottori della comunicazione investigativa; la Jarra de Oro, la celebre birreria che da sempre accompagna le avventure dei due poliziotti (sintesi dell’intera Barcellona), ora frequentata velocemente e col contagocce e non più spicchio di mondo extraterritoritoriale per chiarire i pensieri e rinfrancare l’animo.
E in questo teatro dove regna la schizofrenia, l’unica che si ostina ancora a muoversi come formica operaia è proprio Petra Delicado, il cui terzo matrimonio (con quattro figli non suoi ricevuti sul groppone) fa da contraltare all’inquietante palcoscenico principale. Nessuna oasi, ma almeno angolo di pianeta in cui potersi riconoscere.
E riconoscere di aver fatto un carico di durezza e inquietudine inusuale pure per lei. Resta inalterato il suo sguardo pietoso verso chi delinque, l’abilità a cercare luce laddove la deduzione non riesce a mettersi in moto, la consapevolezza che il più ingenuo tra i criminali resta quello più ingegnoso perché non lascia per strada punti di riferimento (contro ogni ubriacatura verso l’infallibilità della psichiatria come metodo scientifico applicato all’indagine).
Cerca di stare in equilibrio Petra, anche se, come lei stessa afferma: «Passiamo la vita circondati da gente della quale ignoriamo praticamente tutto».
A posare il suo sguardo dall’alto, l’edificio Chiesa. Cupola dal vasto raggio morale che pretende solo e sempre devozione senza domande. La religione cattolica con le sue complesse liturgie millenarie. Che, se guardate da vicino con occhio riposato, rivelano però un accecante bianco vuoto dentro il loro guscio.
Alicia ha colpito ancora.

corrado ori tanzi

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