Intervista a Juan Gómez-Jurado




Intervista a Juan Gómez-Jurado
longanesi
Compralo su Compralo su Amazon

Una spedizione archeologica nel deserto di Giordania cerca di recuperare l’oggetto più potente della storia dell’umanità: l’Arca dell’Alleanza. Una spedizione apparentemente come tutte le altre, se non fosse per due frammenti di un antico rotolo di rame che insieme formeranno la mappa per individuare il luogo esatto in cui è stata nascosta l’Arca. Un gruppo di terroristi islamici, con cellule a Washington, in Siria e Giordania, cerca di ostacolare la spedizione  con qualsiasi mezzo e non appena il prezioso reperto viene individuato strani incidenti e attentati eliminano uno a uno i membri della spedizione. Questa in estrema sintesi la trama di Ultima ora nel deserto, l’ultimo avvincente thriller di Juan Gómez-Jurado, in libreria dal 7 maggio. Scritto con un ritmo vertiginoso e ricco di suspense, colpi di scena, giochi di potere e fughe rocambolesche, animato da hacker abilissimi e spie di ogni religione e nazionalità, questo viaggio incredibile che inizia nella Vienna dominata dai nazisti cattura fin dalle prime pagine.

Quale spunto ha dato origine a questo romanzo?
Quando mi stavo preparando per scrivere La spia di Dio, a Washington ho avuto dei colloqui con dei criminologi dell’FBI. Una sera a cena ho raccontato che Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta era il mio film preferito. Loro mi hanno raccontato che FBI, CIA e altre agenzie di intelligence statunitensi hanno un protocollo segreto che sono pronti ad applicare in qualunque momento, proprio nel caso in cui  venisse ritrovata l’Arca dell’Alleanza, in quanto sono convinti che un tale ritrovamento destabilizzerebbe non solo il Medio Oriente, ma tutto il mondo e con un effetto domino spaventoso potrebbe condurre alla terza guerra mondiale. Questa osservazione fatta dall’agente dell’FBI ha riportato alla luce tutti i miei sogni adolescenziali legati a Indiana Jones e al film sull’Arca perduta e ho deciso che volevo scrivere una storia contemporanea dove l’Arca fosse protagonista o comunque facesse da sfondo al romanzo.

Quale importanza riveste il lavoro di ricerca e documentazione nei suoi romanzi? Come e dove si è documentato per scrivere Ultima ora nel deserto?
L’importanza del lavoro di ricerca e documentazione è fondamentale, anzi quasi prevale rispetto alla parte di elaborazione e redazione vera e propria del romanzo: dedico il doppio del tempo, circa dieci mesi, al lavoro preliminare, e impiego poi circa cinque, sei mesi per la redazione del libro. Diciamo che quando mi siedo a scrivere devo avere già lo schema completo e globale della storia in testa. Un’altra parte importantissima del lavoro preliminare alla scrittura del romanzo è recarmi sui luoghi che faranno da sfondo alla storia: il viaggio è la quintessenza della documentazione. Nel caso di Ultima ora del deserto andare nel deserto, conoscere i beduini, assistere al rito del caffè sono stati aspetti che  mi hanno profondamente colpito; oppure visitare le catacombe romane e immaginarmi la cripta delle reliquie; o ancora essere a Washington, vedere come funziona la città, i suoi i meccanismi e da lì capire come si poteva organizzare un attacco terroristico in una città come questa. Gli psichiatri criminalisti dell’FBI mi hanno aiutato a entrare nella mente di un possibile terrorista islamico, così come esperti che lavorano in seno al Vaticano me ne hanno spiegato i meccanismi e gli archeologi mi hanno aiutato a capire cosa vuol dire organizzare una spedizione per il recupero di un reperto antico. Sono stati dieci mesi di intensa documentazione e ricerca, che ho passato parlando con tantissime persone, visitando tantissimi posti di ambientazione della storia e leggendo circa 100 libri in preparazione del mio romanzo.

Entrambe le sue opere hanno una forte connotazione religiosa e politica. Perché la scelta del genere thriller per affrontare questi argomenti?
Il genere del thriller, del romanzo giallo è il genere per eccellenza dell’epoca odierna. Il thriller spiega la società in cui viviamo, è la metafora della nostra vita. Io credo che le regole cui il thriller soggiace sono le regole stesse della nostra vita, così come la intendiamo oggi. Il protagonista innocente è il personaggio con cui normalmente il lettore tende a identificarsi. Nella fattispecie parliamo ovviamente di Andrea, che si trova rinchiusa e intrappolata in una situazione impossibile e senza uscita, dove deve affrontare al contempo un pericolo di natura fisica; abbiamo anche un pericolo sociale e tutto si svolge in una corsa contro il tempo. Elementi come il pericolo fisico e la corsa contro il tempo hanno a che fare con la nostra finitezza come esseri umani, con cui ci possiamo perfettamente identificare: da una parte non siamo eterni, dall’altra siamo costantemente e ovunque circondati da ogni parte da mille possibili pericoli fisici. Oltre a questo abbiamo anche il pericolo sociale di cui parlavo prima, che ha molto a che fare con la dinamica della società in cui viviamo oggi. Quando l’essere umano si proietta verso l’esterno, ogni volta che pensa a se stesso là fuori nel mondo, percepisce un sacco di pericoli in agguato che lo attendono. L’elenco è lungo: dal terrorismo alla crisi economica, fino all’influenza suina di queste ultime settimane. Possiamo quasi dire che abbiamo finito per vivere il thriller che abbiamo scritto.

Andrea Otero e Padre Fowler sono due personaggi che avevamo già conosciuto in La spia di Dio. Sono destinati a diventare protagonisti seriali e li ritroveremo in un prossimo romanzo? Ritroveremo altri personaggi del romanzo precedente?
E’ quello che vorrebbero tutti, in realtà, ma sinceramente per il momento mi rifiuto.
Tantissimi lettori, ma anche gli editori, mi chiedono a gran voce di far tornare nei miei prossimi romanzi Andrea Otero, Padre Fowler e non solo: anche Paola Dicanti era piaciuta moltissimo. In alcuni casi si arriva agli estremi, al fanatismo. C’è una lettrice danese furiosa, che vuole assolutamente che Padre Fowler sia protagonista di un prossimo romanzo perché è talmente ossessionata dalla sua figura che sogna con lui momenti erotici.

Spesso gli autori attribuiscono ai loro personaggi vizi e virtù che li caratterizzano o che vorrebbero avere. Cosa c’è di lei nei protagonisti di questo libro? Gómez-Jurado giornalista ha l’istinto, la determinazione e l’irruenza di Andrea Otero?
Mi piacerebbe. In realtà non mi sono mai soffermato a riflettere su questo aspetto. Credo che la cosa più corretta da dire in questo caso sia quello che è stato già messo in luce: questa sensazione, questa voglia di proiettarci sui nostri personaggi. Credo sia un meccanismo da un lato divertente per lo scrittore e in parte anche abbastanza inconsapevole. Mi piacerebbe senza dubbio avere l’energia che ha Andrea Otero, la sua forza; mi piacerebbe avere le capacità che ha Padre Fowler, in comune con lui ho gli occhi verdi e la data di nascita: entrambi siamo nati il 16 dicembre. Certamente non vorrei essere però folle come Andrea in alcuni momenti o vivere con i demoni interiori che tormentano Padre Fowler. Credo che il successo di un personaggio risieda proprio nel trovare l’equilibrio preciso tra lati positivi e negativi, tra i demoni che ci corrodono e le virtù che possiamo vantare. Quello che mi piacerebbe sicuramente è vivere una delle situazioni descritte nel romanzo.

Alla pubblicazione di La spia di Dio hanno pensato a lei come al Dan Brown spagnolo. Ora la acclamano come il Ken Follet spagnolo. Si trova d’accordo con queste affermazioni? C’è un autore che più di altri l’ha ispirato oppure che considera suo mentore?

Ho conosciuto un po’ di tempo fa Ken Follet e gli ho detto: “Ken, stai in campana, perché già mi hanno detto che sono il Ken Follet spagnolo, quindi potrebbe succedere che fra un po’ di tempo dicano di te che sei il Gómez-Jurado gallese.” Abbiamo riso molto su questa battuta, che appunto non era altro che una battuta.
Io credo che sia inevitabile questo tipo di processo: all’inizio, quando un autore è poco conosciuto, dall’esterno si cerca di applicargli un’etichetta, di incasellarlo per capire cosa fa e in che direzione si muove. Credo che sia un sistema semplificatore quello di andare a paragonarlo con qualcuno già affermato. Personalmente non posso trovare che estremamente gratificante il paragone con Ken Follet, perché è uno dei miei autori preferiti.
Nel caso di Dan Brown non è così lusinghiero perché non mi piace così tanto.

Il lettore italiano è sempre più affascinato dagli scrittori spagnoli di genere. Quali autori italiani legge Gómez-Jurado?
Tra i contemporanei mi piace moltissimo Roberto Saviano. In Spagna è un autore molto amato, molto ammirato. Per l’impegno enorme che ha profuso e per aver sacrificato la sua vita per quello che voleva scrivere è sicuramente una persona degna di ammirazione da parte di tutti. E poi mi sentirei di citare Andrea Camilleri, che a mio avviso è il miglior scrittore contemporaneo europeo del genere noir.

31 anni, negli ultimi 3 ha pubblicato 4 libri di successo, di cui uno tradotto in oltre 45 paesi. Quanto l’ha aiutata e l’aiuta ancora la sua professione di giornalista in questo nuovo mestiere di scrittore?
Molto, moltissimo. In primo luogo credo che quello del giornalista sia un mestiere e una professione che di per sé incentivi la curiosità e questo credo che sia un aspetto fondamentale per lo scrittore. La parte giornalistica ti spinge a chiederti in che modo, perché succedono le cose e questo poi ti dà la possibilità di essere più credibile quando narri delle storie che ovviamente sono immaginarie. Ovviamente sono completamente diversi i ruoli, nel senso che il giornalista deve raccontare le cose così come succedono. Lo scrittore deve raccontare un sacco di menzogne per dire una verità e quindi questo è in netta contrapposizione rispetto a  quello che fa il giornalista. Amore per la ricerca, grande curiosità, volontà di capire come e in che modo le cose accadono e nascono è il background del giornalista che aiuta lo scrittore a raccontare tante bugie che una volta insieme formeranno una verità.

Chi è oggi Juan Gómez-Jurado? Cosa possiamo aspettarci dai suoi prossimi romanzi? E quelli già scritti diventeranno soggetti di un film?
Sì, Ultima ora nel deserto diventerà un film. Doveva diventarlo anche La spia di Dio e abbiamo venduto i diritti alla Fox, che in un secondo momento si è tirata indietro perché ha ritenuto che l’argomento della pedofilia fosse eccessivamente controverso e che il pubblico americano non l’avrebbe capito, quindi per sette anni siamo bloccati perché è il periodo di vigenza dei diritti. Invece nel caso di Ultima ora nel deserto credo che le cose andranno decisamente meglio. Inoltre non vedo davvero l’ora di vederne la versione cinematografica perché penso che sia un libro molto, molto adatto per una trasposizione al cinema.
Per rispondere all’altra domanda: forse bisognerebbe chiederlo a mia moglie, io non lo so. Quando mi guardo allo specchio vedo semplicemente una persona che cerca di scrivere ogni giorno meglio, che quindi ha come missione, come scopo quello di migliorarsi, di superarsi costantemente.
Sono molto giovane, ho solo 31 anni e quindi ho ancora molta strada da fare, fortunatamente tantissime cose da imparare e la mia sensazione è che ogni romanzo è migliore del precedente. Questa è la spinta che fa sì che mi alzi ogni mattina. Ci sono degli autori – non è il mio caso per il momento, ma potrebbe diventarlo da qui a breve – che per il semplice fatto di avere il loro nome sulla copertina di un libro sanno che quel libro verrà venduto. Io non voglio arrivare a questo tipo di successo commerciale, credo che la qualità a lungo termine paghi e la mia volontà è quella di migliorarmi costantemente. Per quanto riguarda i prossimi romanzi, presumo che ci si possa attendere che saranno sicuramente divertenti e d’intrattenimento. Il trailer del prossimo (ndr: El emblema del traidor) è già disponibile sul mio sito web: www.juangomezjurado.com

Tra i suoi lettori ci saranno indubbiamente scrittori in erba o anche chi ha solo il sogno nel cassetto. Quali consigli vorrebbe dare loro?
Mangiare molta frutta, molta verdura, evitare la carne rossa, guardare prima di attraversare la strada… Ma soprattutto leggere, leggere, leggere, ancora leggere e quando abbiamo finito leggere ancora un po’. Avere pazienza, non perdersi mai d’animo. Credo che sia questo il consiglio migliore da dare a un aspirante scrittore: una lettura senza sosta; continuare a leggere anche quando abbiamo chiesto un caffè al bar e siamo seduti su uno sgabello: magari riusciremo a leggere solo mezza pagina, ma anche quella conta! E non dobbiamo ossessionarci con i grandi classici, non dobbiamo pensare che sia utile leggere soltanto Virgilio. Se quello che abbiamo in mente di scrivere è un giallo, forse è meglio leggere Camilleri o un autore nordico. Credo che lo scrivere sia la concretizzazione, la cristallizzazione di uno sforzo e di un godimento di lettura continuo e costante portato avanti per anni.
E’ come quando un pino produce per anni la resina al proprio interno, finché questa non raggiunge una quantità critica e comincia a fuoriuscire dal tronco. E’ a questo punto che siamo pronti per scrivere. Una volta che abbiamo preso la decisione di scrivere dobbiamo scrivere ogni giorno, magari solamente un po’, ma non rinunciare mai, neppure per un giorno, a scrivere qualche riga. E dormire regolarmente per otto ore.

Quando ha scoperto la sua passione per la lettura? E cosa ha cominciato a leggere?
Mio padre mi ha obbligato a leggere sin da quando ero un bambino piccolissimo e quando ancora non ne ero capace era lui che mi raccontava ogni sera prima di addormentarmi una storia, una favola. E se non la leggeva se la inventava. Mi rendo conto che è una cosa che non ho mai raccontato a nessuno: avevamo nel nostro soggiorno un libro blu che lui tutte le sere portava nella mia camera quando tornava dal suo secondo lavoro, si sedeva sul bordo del mio letto e fingeva di leggermi un racconto. In realtà se lo stava inventando, quindi poteva capitarmi qualsiasi cosa: da Cappucetto Rosso che lottava contro i marziani al Principe Azzurro che giocava agli Open d’Australia. Quando finalmente ho imparato a leggere, e l’ho fatto molto presto, mi sono reso conto che quello che faceva mio padre era leggermi il mondo in base alla volontà e alla rappresentazione che ne dava Schopenhauer . Mio padre è un narratore straordinario, a cui devo assolutamente tutto come autore e come scrittore. Lui mi ha insegnato, sin da piccolissimo, come sia straordinario il potere dell’immaginazione e della lettura. Ho cominciato a leggere verso i tre anni e mezzo e a quattro leggevo già con totale scioltezza e mi sono letto tutto quello che ho trovato per casa che ovviamente appartenesse al genere della letteratura infantile. Quando ho finito i libri considerati infantili, mio padre mi ha dato delle indicazioni e le prime cose che mi ha consigliato di leggere sono stati i romanzi di Giulio Verne. Ne avevamo tantissimi e credo di averli letti tutti, quando avevo dai cinque ai sette anni. Da quel momento in poi non sono mai più stato capace di fermarmi.
Per me la parola scritta ha sempre avuto un fascino particolarissimo.

cristina balzanelli zannini

Potrebbero interessarti anche...