Intervista a Giovanni Modica, ospite a Paura sotto la pelle 2

Abbiamo fatto le stesse domande a alcuni degli ospiti che interverranno a Paura sotto la pelle 2.
Domande ” da paura” ovviamente…
Divertitevi leggendo le risposte che hanno dato.
Ecco le riposte di Giovanni Modica

La più antica e potente emozione umana è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell’ignoto. (Howard Phillips Lovecraft). Sei d’accordo?
Assolutamente sì. Non è per caso che, quando si usa il termine “ancestralità”, nel 90% del casi ci si riferisce alle paure (rigorosamente al plurale). Tutti gli istinti sono ancestrali, ma mentre su di essi l’evoluzione ha fatto un percorso di affinamento di conoscenza più puntuale e rassicurante, la paura resta in quanto resta l’ignoto.
D’altra parte, l’ignoto, di cui parla Lovecraft, è l’essenza stessa della paura. Se viene meno l’ignoto, la paura il più delle volte finisce e – nella peggiore delle ipotesi – si trasforma in sentimenti di sconforto, orrore e rassegnazione. Intendiamoci: si tratta di sentimenti tremendi da vivere. Ma determinano un punto fermo, una certezza.
La paura, se fondata e premonitrice di ciò che si teme, diventa l’anticamera delle certezze negative. Che, per quanto terribili possano essere, ci fanno iniziare un nuovo percorso di rinascita. Il mistero principale di questo meccanismo mentale è che questa consapevolezza (fortunatamente la paura non dura in eterno) dovrebbe rassicurarci. Invece ciò non succede mai. Perché non si è mai preparati all’ignoto, benché sappiamo che a un certo punto si svelerà e perderà una parte del suo potenziale di dolore.
Non ricordo chi lo disse: è peggiore la paura della più terribile realtà.

La paura è una componente fondamentale della natura umana, è con noi dalla nascita. Cosa ti fa paura? Come la esorcizzi?
Sono stato un bambino timido e a tratti pauroso. Ancora in giovane età, ho realizzato che la maggior parte delle paure erano immotivate, addirittura stupide. Le paure nella maggioranza dei casi derivano da cose stupide: come giustificare altrimenti la paura degli scarafaggi, esseri che possiamo debellare facilmente eppure a volte ci fanno chiudere in un’altra stanza? O la paura dell’aereo, o di essere sepolti vivi, che affliggono molte più persone di quel che si creda? O patologie vere e proprie ma insensate, come la claustrofobia e l’agorafobia? È sbagliato credere che tutte queste paure siano generate da chissà quali traumi. Uno dei misteri che accomuna molte paure è che con una parte di esse ci nasciamo. Sappiamo che sono stupide ma, incredibilmente, a volte una vita intera non ci basta per debellarle. A me ci sono voluti anni, ma l’averle vissute mi ha permesso di conoscere meglio me stesso, di avere maggiore autocontrollo o di fingere di averlo. A volte anche questo è utile, non tutto il male viene per nuocere.

Da bambino qual era la tua favola preferita? Amavi quelle paurose?
Suonerà strano, ma non ricordo di avere avuto una favola preferita, né di aver amato le storie paurose, anzi. Ascoltavo le famose “Fiabe Sonore”, e mi piacevano. C’erano fiabe come “Giacomino e il fagiolo” e naturalmente non m’incutevano alcuna paura. Quando però cominciai a crescere, erano gli anni ’80, un decennio in cui l’horror invadeva i cinema. Chi faceva quei film per me era pazzo. Ero piccolo, ma non mi spaventavano le trame di quei film che leggevo sui giornali sui giornali; no, quello che mi spaventava era il sapere che c’era gente che aveva inventato certe storie… e altra che le amava! Credevo si trattasse di gente pericolosa. Pensa come si cambia! Più in generale, mi spaventavano i soggetti umani deformi, in carne d’ossa o anche solo immaginati. Non avevo i mezzi per capire che erano loro a vivere un dramma.
Nonostante questo, e a dispetto di questi ricordi, quando riguardo certi cartoni animati che mi piacevano allora (quando ero MOLTO piccolo ma già consapevole), mi sembra incredibile che la mia reazione a essi non fosse poi così diversa, che si trattasse di Heidi o di Tiger Man, che guardavo come fosse un Goldrake qualsiasi. I miei gusti devono sempre essere stati eclettici, ma anche contraddittori. Ha ragione Tarantino quando dice che nel film Biancaneve e i sette nani c’è un alto tasso di paura. Da poco, riguardandolo, mi sono accorto che in una scena la strega sta accanto allo scheletro di una sua vittima. Come mai non mi aveva turbato la prima volta che lo vidi? Mistero. Della propria infanzia si coltiviamo ricordi falsati.
Forse dice bene Stephen King, quando asserisce che “i bambini hanno un rapporto più diretto con l’orrore”.

Quale percorso ti ha portato a scrivere storie che hanno a che fare con la paura, con i timori e con le ansie?
Non ne ho scritte molte, in realtà. Ora sto scrivendo un romanzo giallo con elementi orrorifici e di tensione, ma so per certo che la cosa deriva dalla mia passione per il cinema giallo degli anni ’70, che aveva molto a che fare con temi pesanti quali l’inconscio, il trauma infantile, la fallacia della memoria, la sessualità deviata e ossessioni assortite. Non è cosa rapportabile alla mia psiche o al mio vissuto. Riguardo a questi temi delle deviazioni mentali, sto scrivendo invece qualche racconto che parla di ossessioni paurose ingiustificate (come quelle di cui parlavamo prima) ma riguardanti cose folli. Se dovessi citare dei riferimenti cine/letterari, potrei nominare il geniale L’uomo dei cinque palloni di Marco Ferrei, o Berenice di Poe. Storie diversissime, ma accomunate da ossessioni davvero insolite: i palloncini nel primo caso e i denti nel secondo. Feticci non sessuali, ma potentissimi. E’ chiaro che non mi sognerei mai di paragonarmi a tali autori: li cito solo per rendere l’idea dello spirito con cui le sto scrivendo. Le mie storie comunque differiscono dalle opere citate di questi due mostri sacri del cinema e della letteratura per un certo gusto del grottesco, che apprezzo ma non mi appartiene e dunque non è da me praticato.

Come si riescono a trasmettere queste sensazioni con le parole?
Domanda difficile. Credo ci si debba accostare accantonando la parte grigia del cervello, quella della logica. Cercare di recuperare, per quanto possibile, le sensazioni provate prima che vengano filtrate dalla logica. Questo proprio in quanto, come dicevi tu, la paura è l’ignoto. Ognuno ha il suo modo per TENTARE (perchè non è facile) di recuperare queste sensazioni attingendo dai sogni o dai retro pensieri che ci hanno creato in modo velocissimo quelle sensazioni primarie. Data la velocità dell’attività cerebrale, la recezione di certi stati d’animo dura quanto quella di un messaggio subliminale, ma sono molto personali e costituiscono la parte più soggettiva di noi. Di enorme aiuto in tutto questo sono le musiche, soprattutto quelle che abbiamo sentito in certi momenti ma macinato poco in altri contesti, non “inquinandole” con ricordi secondari.
Può essere utile pensare al cinema visionario, all’espressionismo tedesco o al cinema degli anni ’90 (Fight Club, Natural Born, Killers, The Dreamers), un cinema che va oltre la ragione e non necessariamente pulp: a volte certe pellicole fanno cenno a situazioni insostenibili, insinuano dubbi su temi come incesti o presenze demoniache che poi vengono smentite. Purtroppo o per fortuna, chi fa certi film s’illude, quando crede che una smentita finale o un lieto fine appianino ciò che ci hanno fatto passare nel cervello durante la visione. Ammetto che per un pubblico immaturo potrebbe rivelarsi una pratica pericolosa mettere nella testa della gente certi sospetti e poi illudersi di cancellarli, perché la sensazione è arrivata e non si cancella nemmeno con una X finale. Sono sensazioni che invece, per un pubblico maturo come quello degli scrittori, risultano di grande stimolo. Non per ciò che mostrano, ma per prendere coscienza di quanto le cose che sono passate senza filtri nel cervello, ci tornano utili come lampi che ci restituiscono un’emozione pura da cui partire anche con una scrittura davvero efficace. Ecco, credo non sia per caso che i Giovani Cannibali degli anni ’90 siano emersi: visti anche i loro richiami al cinema, sospetto che abbiano attinto e beneficiato di questa libertà per i motivi di cui sopra.

Per far paura sono più efficaci scene truci e truculente o la normalità che si trasforma improvvisamente in incubo?
È molto soggettivo, e ognuno ha il suo genere di horror o di thriller. C’è chi si fa coinvolgere più dal “sobbalzone” (il balzo sulla sedia) e chi dalla paura strisciante. Io preferisco il secondo tipo di racconto, benché talora accetti la scena truculenta per conferire realismo alla storia. Se una situazione è efferata ed è calata in un contesto reale, descrive una realtà. In questo, la narrativa è molto più avanti. Ma trovo sia quella e solo quella la sua funzione. Non di spaventare. Spaventa vedere fiotti di sangue o mutilazioni? Per me no. L’unico modo per rendere paurose scene che inducono al ribrezzo è il mostrarne una e fare immaginare che tale situazione stia per succedere ancora; quindi ne basta una o due, come il giallo italiano ci ha insegnato. Questo è il mio parere. Non concepisco i gorefest.
Giocoforza, parlando di letteratura, la strada più percorribile è quella che prediligo io: tempi lunghi e atmosfera. Il “sobbalzone” è una soluzione prettamente visiva e sonora, quindi impossibile da calare in letteratura con gli stessi effetti.

La paura tra parole e immagini. Difficoltà e tecniche per instillare il timore nel lettore?
In questi generi, più c’è allusione, meglio è. Sia in narrativa che al cinema. La verbosità è sbadiglio, quindi bisognerebbe che le spiegazioni derivassero dalle azioni dei personaggi. I quali, possono avere psicologie molto approfondite anche senza troppe parole. La stringatezza e laconicità (altro che grida) hanno fatto dei western di Leone dei veri e propri thriller. Il cinema però ha anche altri mezzi per entrare nel cervello dei personaggi, in primis le musiche e il montaggio. Quindi la difficoltà maggiore in questo caso ricade sui hanno i romanzieri.

Sono cambiate le nostre paure? E il modo di descriverle? – Il maestro assoluto della paura di oggi, il Re, dice che la sua ispirazione è sempre, da sempre, il babau, l ‘uomo nero’. Quante declinazioni può avere oggi l’uomo nero? Escludendo ovviamente la deriva razzista…
Non mi addentro in temi politici. Anzi, sì. Oggi i media ci martellano con temi che esistono solo marginalmente (altro è il discorso che non dovrebbero esistere in assoluto), ingigantendoli. Gli italiani sembrano diventati un popolo di aggressivi. A volte, a forza di parlare di queste cose, creano un non voluto effetto-emulazione nelle menti deboli. Troppe caccie alle streghe, troppi processi alle intenzioni. Questo crea un’insicurezza esagerata del vicino di casa, una diffidenza pericolosa. L’uomo nero, o il babau, come dice il Re, oggi sono i fantasmi. La paura di fenomeni sociali che non esistono, che a furia di essere evocati rischiano di suscitare reazioni concrete che con una stampa seria non si rischierebbe. Ma credo che il tema strettamente sociale nuoccia al genere introspettivo di cui parliamo noi. Non credo esistano molti thriller che funzionino senza affondare nei temi eterni, se si rende troppo protagonista l’immediatezza di un momento storico. L’ancestrale ha poco spazio. Nel terrorismo l’ignoto non c’è.

Sono sempre di più gli autori che mescolano al noir l’ironia e la risata, un modo per esorcizzare la paura o un modo per sottolinearla e renderla ancora più efficace?
Il cinismo era stato troppo poco praticato dalle origini del cinema alla prima metà degli anni ’60. Più di quarant’anni di (auto)censura. Senza poi tenere conto che il cinema USA più blasonato – quello dei Kolossal con o senza Charlton Heston – è stato pomposo e patriottico oltremisura. Anche in questo, la narrativa ha avuto più coraggio, e in tempi non sospetti.
A un certo punto fu normale che si scegliessero altre strade. L’ironia e la risata dopo un omicidio, può essere uno scampolo di realismo nelle gangster stories, quindi trovo giusto che esista. Diverso è il discorso se si vuole creare DAVVERO paura. In tali casi il cinismo può essere espresso, eccome, ma meglio senza risata. Non credo che i lettori o il pubblico abbiano bisogno che la paura sia esorcizzata con una risata improvvisa, ce la fa da solo.

I tuoi riferimenti letterari o cinematografici di genere sono….

Mi piaceva Alberto Ongaro, scomparso da poco tempo ma responsabile di un romanzo avvincente e misterioso come La versione spagnola. Non era letteratura di paura ma lo era, a suo modo, di indagine. Le mie ricerche cinematografiche, poi, mi hanno fatto scoprire Fredric Brown e il suo Screaming Mimi, un giallo meraviglioso degli anni ’40. E i racconti di Poe.
Sul cinema Lucio Fulci, Sergio Leone, Dario Argento. La saga del dottor Mabuse di Fritz Lang e alcuni imprescindibili film di Hitchcock (Vertigo, soprattutto).
Brian De Palma è per me uno dei migliori 5 registi americani di ogni tempo, cui affianco Oliver Stone, Stanley Kubrik, Orson Welles, Quentin Tarantin).
Poi, molti film di M. Night Shyamalan e di David Fincher, che però sta affievolendo il suo stile dirompente.

L’appuntamento con Giovanni Modica  e gli altri ospiti di La paura sotto la sotto la pelle 2, brividi nelle parole e nelle immagini.
Giovedì 29 e venerdì 30 novembre 2018, ore 10.00 e 14.30,
Aula magna Giovanni Pascoli e aula Forti -Via Zamboni 32-BO
Tutte le informazioni  qui

Giovanni Modica , nato a Bologna, ha frequentato corsi di fotografia al Dams di Bologna e di montaggio cinematografico alla Cineteca di Bologna, collaborando in seguito, attraverso interviste e recensioni cinematografiche e letterarie, coi siti www.studiocinema.net, www.centraldocinema.it e www.nocturno.it, versione on line, Dopo avere raccolto giudizi positivi sul mensile “Storie” per due suoi racconti, pubblica la storia breve Racconto di un attimo sul settimanale Lo Specchio, allegato al quotidiano La Stampa di Torino. Dal 2004 al 2009 è componente della commissione Cultura e Politiche Giovanili del Quartiere Navile, in particolare nella funzione di divulgazione telematica a livello nazionale del Premio Letterario “Navile”. Nel 2009 pubblica il volume Sette note in nero di Lucio Fulci (Morpheo). Firma interventi e interviste per i libri di Gordiano Lupi e Tinto Brass Profondo Rosso (2010) e Storia del cinema horror italiano – vol. 2 – in Il Foglio Letterario ( 2011). Nel 2012 pubblica il volume Dario Argento e L’uccello dalle piume di cristallo e l’anno dopo Dario Argento e il gatto dalle molte code, entrambi per la Profondo Rosso, come Dario Argento e Profondo rosso pubblicato nel 2017 e nel 2018 Dario Argento e le 4 mosche. Sempre nel 2018, ma per l’editore Il foglio, è uscito Dario Argento. Le storie mai raccontate.

Gestisce il blog ModiCult:ilcinemasecondogiovannimodica.blogspot.it/ di recensioni cinematografiche di genere. Dal 2014 è caporedattore del sito www.scrivendovolo.com e collabora col quotidiano La Voce di Romagna in rubriche quasi settimanali.

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