Marina, come nasce l’incredibile storia narrata nel tuo ultimo giallo e quanto tempo hai impiegato per terminare il libro?
È nato tutto da una passeggiata sulle mie amate colline del Piacentino. Ho notato una villa circondata da un parco molto fitto, quasi impenetrabile. Ho cominciato a fantasticare su chi potesse abitare lì, perché avesse scelto di isolarsi in maniera così netta, rinunciando anche al bellissimo paesaggio che si poteva scorgere da quella parte della collina. Da questa riflessione è nato pian piano il personaggio di Giorgio Saveri, il solitario e tormentato protagonista del mio romanzo.
Giorgio e Giulia sono solo delle vittime, persone fragili e che hanno sofferto, eppure i lettori a tratti li destano. È voluta da parte tua questa reazione in chi legge il romanzo?
Sono personaggi che suscitano svariate reazioni. Tormentati, sofferti, molto spesso scomodi. E se riflettiamo anche noi, persone reali, siamo così. Luce ma anche avvolti da molteplici punti d’ombra. Ed è questo uno degli aspetti che più mi sta a cuore: rendere la complessità dell’esistere nei miei romanzi.
Tu sei nata in Piemonte ma la descrizione che fai delle colline emiliane è perfetta, commovente, veritiera. Come ci sei riuscita e che legami hai con quei posti?
Io sono nata a Novara ma ho vissuto in tanti luoghi diversi. Mio padre, un medico ospedaliero, cambiava spesso sede di lavoro per avanzamenti di carriera. Noi figli lo seguivamo, cambiando sempre casa, scuola, amici. Quando mi sono sposata, mi sono finalmente fermata a Cremona, una città che amo molto. Ma, vista la sua infelice situazione climatica, i cremonesi scappano spesso dalla nebbia in inverno e dall’afa in estate per rifugiarsi sul Piacentino, ricco di luoghi ameni e davvero affascinanti. Posti che amo molto e che mi ricordano la mia adolescenza e i picnic con le mie ragazze da piccole.
Il finale del tuo romanzo lascia davvero senza fiato. A che punto della scrittura ti è venuto in mente?
Prima di iniziare la scrittura, preferisco scrivere una traccia in cui ho già ben chiaro come il romanzo inizierà, proseguirà e finirà. È molto importante per la coerenza del racconto e del senso che il romanzo vuole esprimere. Una metodologia che mi ha insegnato il mio carissimo amico e maestro Sergio Altieri, scomparso da poco, grande scrittore, sceneggiatore e traduttore. I suoi insegnamenti sono stati più efficaci di cento scuole d scrittura creativa.
Se dovessi racchiudere La memoria dei corpi in una sola frase di tutto il libro quale sceglieresti e perché
Sceglierei una frase non mia , ma del grande Leopardi , che ha ispirato il senso del mio libro e la figura di Giorgio, il protagonista:
“Pare un assurdo, e pure è esattamente vero, che, tutto il reale essendo un nulla, non v’è altro di reale, né altro di sostanza al mondo che le illusioni.”
Perché ho scelto proprio questa frase? Lascio ai lettori la curiosità e la possibilità di scoprirlo.
MilanoNera ringrazia Marina Di Guardo e la Mondadori per la disponibilità
Qui la nostra recensione a La memoria dei corpi