Morte a oriente – Abir Mukherjee



Abir Mukherjee
Morte a oriente
SEM
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 Siamo arrivati al quarto romanzo della saga thriller storica  ambientata in India e avente per protagonista il capitano Sam Wyndham, la cui storia in India inizia nel 1919,  suo arrivo a Calcutta e prosegue  attraverso gli anni che vedono l’inizio del malessere del popolo indiano che culminerà, grazie  soprattutto all’epopea gandhiana, nell’affrancamento dell’India dall’Impero Britannico.
Nella grande storia raccontata molto bene dall’autore si inseriscono storie private e personali, a volte dolorose, a volte complicate, a volte felici, spesso tracciate dal destino senza che i protagonisti possano cambiarle.
Nell’Uomo di Calcutta abbiamo visto Sam, che per sfuggire agli orrori vissuti in guerra e al lancinante dolore dovuto alla morte dell’amatissima moglie, chiede il trasferimento dalla polizia di Londra alla polizia di Calcutta, l’ex capitale dove i venti di indipendenza soffiano forti nonostante il caldo torrido e l’umidità soffocante.
Conosciamo il suo aiutante, amico e collega, l’abile e astuto sergente Banerjee,  che data l’impronunciabilità del suo nome, viene da tutti semplicemente chiamato Surrender-not, un indiano appartenente ad una famiglia di rango elevato, che non gli perdona la sua fedeltà all’impero.
Amiamo questa strana coppia, Sam devastato da un passato che lo tormenta, scivolato nel tunnel dell’oppio, ma non per questo meno onesto e risoluto nel risolvere i casi a lui affidati e Banerjee calmo, profondo, intuitivo e profondamente snob.
In questo quarto capitolo ritroviamo Sam, finalmente deciso a disintossicarsi dalla dipendenza, ricoverato in un monastero buddista nelle colline dell’Assam, ma ancora tormentato dal passato che sembra inseguirlo  senza tregua, anche perché durante il viaggio gli sembra di riconoscere un uomo, meglio un assassino, che aveva ucciso una donna a lui molto cara e per cui aveva pagato con la pena di morte un innocente.
Aver rivisto questo criminale, che tutti credevano morto, fa ritornare Sam al passato e,  stremato dalla cura disintossicante nel fisico e nel morale, ha continui flashback di quegli anni, che si intrecciano come un incubo continuo col presente.  
Peraltro la regione dell’Assam in cui si trova è gravata da tristi presagi di morte, credenze popolari si sovrappongono a notizie di scontri in varie parti dell’India, in cui ormai brucia la fiamma dell’indipendenza.
Solo l’arrivo del sergente Banerjee lo potrà aiutare a trovare la calma necessaria a sbrogliare questa nuova intricata avventura in cui passato e presente si fondono ed in cui le ombre del passato riprendono vita in un inquietante girotondo.
Ma la storia, la grande storia va avanti, il sentimento anticoloniale sembra essere penetrato anche nell’animo pacifico del sergente Banerjee, che fa un discorso serio al suo amico  Sam e che Sam capisce ed approva.
Questo romanzo, pur mantenendo l’aspetto consueto del thriller, ha una veste più sociologica ed introspettiva, cercando di farci capire il colonialismo dalla parte dei colonizzati, memorabile il colloquio tra Sam e Banerjee.
In questo romanzo l’autore volutamente cerca di farci capire che significa essere dominati, mettere la propria cultura in secondo piano e soprattutto vedere parte della propria gente stare dalla parte dei conquistatori per motivi d’interesse.
Naturalmente questo libro si può leggere anche da solo, ma il consiglio di lettura è leggerli tutti in sequenza, solo così si potrà capire l’evoluzione dei personaggi e della storia, con una totale immersione in un tempo ed in un mondo poco conosciuto ai più.
La narrazione è fluida, coinvolgente, direi quasi cinematografica, complice una magistrale opera di traduzione del sempre ottimo Alfredo Colitto.
Abir Mukherjee  ci prende per mano e ci trasporta ora per i vicoli oscuri e maleodoranti di Calcutta, ora nei palazzi sontuosi e fiabeschi dei maharaja, ora in mezzo ai  tumulti anticolonialisti, il tutto con grande maestria e mai sopra le righe.
Ma ancora tutti i romanzi, tutti, sono sottilmente ironici, un’ironia talvolta amara, manifestata spesso dai nativi nei confronti degli inglesi, e questo ancora in linea con il messaggio che l’autore non smette mai di mandare e che è quello di dare voce ai vinti.
Credo che questa saga sia imperdibile, sia per chi ama il genere thriller sia per chi ama i romanzi storici sia per chi in buona sostanza ama leggere, imparare e scoprire.
Sam e Banerjee diventeranno nostri amici, non ci allontaneremo facilmente da loro e aspetteremo sempre nuove avventure.
Due parole sull’autore:   di origine angloindiana, nato a Londra nel 1974 e cresciuto in Scozia, si è laureato alla London School of Economics prima d’iniziare a lavorare nel mondo della finanza.
Nel 2014 ha partecipato, vincendolo, all’Harvill Secker crime writing competition indetto dal Telegraph con il thiller storico L’uomo di Calcutta, ambientato in India nel 1919 e avente per protagonista il capitano Sam Wyndham e in seguito ha continuato la serie con altri tre romanzi.
Vincitore dell’Ellis Peters Historical Award nel 2018 con L’uomo di Calcutta, vive e lavora a Londra con la moglie e i due figli.

Roberta Gatto

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