Una storia quasi soltanto mia



Licia Pinelli, piero scaramucci
Una storia quasi soltanto mia
feltrinelli
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“Oggi timidamente sollevo la testa dalla sabbia, è come se riprendessi contatto con la realtà. Ma è anche come se i piedi mi fossero diventati di marmo, e sei ferma lì.”

Un libro confessione, quella di Licia Pinelli concessa a Piero Scaramucci nel 1982 ed oggi ripubblicata dalla casa editrice Feltrinelli con integrazioni e con “Qualcosa da dire” di persone vicine a Pino e Licia.
Licia Pinelli è moglie del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, fermato dalla polizia subito dopo l’esplosione della bomba di Piazza Fontana, interrogato per giorni e infine ucciso ingiustamente.

Una donna che cerca con apparente distacco lo Stato di Diritto in uno Stato che il diritto pare averlo dimentico, che cerca giustizia e verità in un procedimento processuale che appare più finzione che funzionale alla realtà.
Un libro accessibile a tutti e soprattutto ai giovani perché la memoria non venga cancellata, perché la verità non venga celata, anche dopo il riconoscimento da parte dello Stato, da parte del Presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano, dell’innocenza di Pinelli, “un uomo che aveva ancora la capacità di divertirsi di un bambino”.

Perchè ha deciso di accogliere la confessione di Licia Pinelli?
Mi intrigava questa donna severa, silenziosa, dura come l’acciaio, almeno all’apparenza. Capace di scontrarsi con poteri forti e crudeli, contrapponendo etica e sentimenti alla ragion di Stato. Scavare nei suoi pensieri, nei suoi ricordi, avrebbe certamente aperto squarci di verità su quel Mistero di Stato che era stata la morte in questura di suo marito Pino.

Che impatto vorrebbe che avesse questo libro – intervista?
Vorrei che lo leggessero soprattutto i giovani, che poco sanno di quelle vicende che hanno determinato fortemente i tempi in cui viviamo ora. Molti si stupiranno scoprendo come una vicenda personale racconti più e meglio di un testo di storia.
Pensando a un pubblico giovane abbiamo tenuto molto basso il prezzo di copertina e abbiamo corredato il racconto di Licia con una cronologia e brevi scritti di persone che c’erano e aiutano a capire, da Dario Fo a Giorgio Bocca, da Corrado Stajano a Lella Costa, da Goffredo Fofi a Carlo Smuraglia.

Che difficoltà, soprattutto emotive, ha incontrato nella sua stesura?
In 50 anni di giornalismo è l’intervista più difficile che mi sia capitata. Licia voleva parlare ma era chiusa come un’ostrica. Le era doloroso ricordare, ritrovare se stessa dopo anni di silenzio, dare parole alla loro storia d’amore, alla battaglia per la verità, alle sconfitte subite, alla determinazione di non cedere. Ho dovuto abbattere un muro. Un lavoro durato due anni.

In quegli Anni di Piombo si racconta una Milano che descrive anche “molta umanità e solidarietà”…
Sì, un’umanità di cui a Milano oggi restano solo tracce, eppure ci raccontano di una Milano possibile. Si era meno soli, ci si divertiva di più con poco, nonostante l’asprezza dei tempi.

Che impatto ha avuto su Licia la rappresentazione teatrale di Franca Rame e Dario Fo?
Non ha voluto vederla. Troppo dolore, per lei.

Tutto l’iter processuale appare quasi irreale, quasi fosse una finzione….
E’ proprio quello che dice Dario Fo, non ha dovuto inventare nulla, per creare una commedia satirica – dice – è bastato prendere verbali e documenti ufficiali. Menzogne caricaturali, depistaggi grotteschi, l’arroganza imbecille del potere che si descrive da sola…

In molti passaggi Licia sottolinea l’ipocrisia degli Organi di Stato, eppure paradossalmente non ha mai smesso di credere nello “Stato di Diritto”…
Quando il presidente Napolitano, il 9 maggio scorso, ha reso omaggio a Giuseppe Pinelli come vittima, Licia ha avuto la conferma che uno Stato di diritto è possibile anche se tutta la macchina dello Stato non le ha dato giustizia e ha operato per incastrare un innocente. E ora continua la sua battaglia per la verità.

Anche per lei il 12 dicembre del 1969 è stato il giorno “della perdita della nostra innocenza”?
Come nella trama di un thriller Licia ha cominciato a scoprire che le loro vite erano state utilizzate in una colossale cospirazione di cui non aveva mai immaginato l’esistenza. Sì, come molti pensava che il mondo fosse più buono, che i valori che guidavano la sua vita fossero un patrimonio condiviso. Quel che man mano scopriva la sbalordì. Ma devo anche dire che non si è lasciata soffocare dalla ragnatela nella quale era incappata e che infine la sua vittoria morale è prevalsa sulle sconfitte giudiziarie.

L’informazione oggi….
Molto più debole di quella di allora, è ovvio quando un solo soggetto controlla direttamente o politicamente l’80% dei media e delle loro risorse economiche. Ma anche allora un coro di conformismo cercò di nascondere la verità sulla strategia della tensione. E tuttavia il lavoro di alcuni giornalisti coraggiosi e della controinformazione riuscì a spuntarla. Anche perché la gente voleva sapere. Chi vuole informarsi, capire, sapere, può rovesciare anche le montagne.

claudia caramaschi

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