Un thriller da brivido ambientato negli Stati Uniti del Nord, in una riserva indiana ai confini col Canada, che svela la maestria di un grande scrittore horror, peraltro indiano, come a lui piace definirsi.
I protagonisti sono quattro amici: Lewis, Gabe, Ricky e Cassidy, quattro indiani del Nord Dakota sulla trentina, appartenenti al gruppo etnico “Blackfeet”, cresciuti insieme, hanno abbandonato la riserva dalla quale provengono e sono molto legati tra loro, almeno finché Ricky non viene ucciso durante una rissa tra ubriachi, linciato dai cowboy, con lo strano aiuto di un branco di cervi, che gli ha impedito la fuga.
Una maledizione che li perseguita per aver ucciso da ragazzi, dieci anni prima, una wapiti (cervo canadese) incinta durante una battuta di caccia proibita. I nativi americani sanno come sono gli spiriti naturali, possono essere inclini al gioco, ma sadici nella loro risoluzione.
E’ Lewis il primo ad accorgersi di una presenza inquietante nella sua vita: quella di un grosso alce ferito che sanguina sul tappeto del soggiorno. Tutti, uno dopo l’altro, cominciano ad avere visioni, che però uccidono in modo efferato.
Seguono Gabe e Cassidy, la cui morte avviene nella “capanna sudatoria”, usata per commemorare la morte di Lewis e Rick.
Ma la vera vendetta avviene durante la più terrificante partita di basket della storia, quella dove gioca Denorah la figlia di Gabe, un cucciolo.
Profondità emotiva e alcuni squartamenti rendono le immagini fervide, vive e il lettore può sentire l’odore del sangue. Un horror in cui si ride spesso.
Uno dei messaggi è se tratti male la natura poi non puoi stupirti che Lei voglia fartela pagare, come conseguenza di una violazione dell’ordine naturale delle cose, l’altro è un ritratto dei nativi americani il più realistico possibile e non basato su stereotipi.
Gli unici indiani buoni lo consiglio a chi ha voglia di un’immersione tra horror e fantascienza!