Vivere pericolosamente tra Milano e la Bassa: Enrico Radeschi

Paolo Roversi è solito ripetere nei suoi fortunati workshop di scrittura che ogni scrittore è “bastardo” di altri, anzi il pescare a piene mani nella tradizione di qualità è un punto d’onore per un autore.
Enrico Radeschi, il personaggio creato dall’esuberante scrittore mantovano, è un nipotino dei grandi personaggi del poliziesco e del giallo italiano e europeo, ma si specchia anche nella modernità, utilizzando nuovi metodi investigativi tecnologici sconosciuti ai suoi illustri predecessori.
Il nostro giornalista “free lance”, più per scelta delle vetuste redazioni milanesi che per vero istinto di libertà intellettuale, ha circa trent’anni, è approdato pieno di sogni a Milano per far fare il salto di qualità alla sua vita professionale.
Alle sue spalle ha lasciato(a malincuore) la Bassa, i suoi ritmi lenti, l’identità forte e riconoscibile di paesi nei quali si è tutti un po’ speciali perché attori di una piccola realtà.
Milano polverizza questa patina di provincialismo e costringe Enrico a misurarsi con le farneticazioni da profitto obbligato, il rumore, l’ansia, l’asocialità della metropoli.
Roversi fa la scelta di non far reagire il suo personaggio con rabbia e cupezza a questi mutati orizzonti , anzi lo lascia confuso e indifeso nel pantano dei cambiamenti, ma gli regala un auto ironia, uno spirito d’iniziativa e un sano buon senso che lo toglieranno spesso dai guai.
Enrico vive con il suo Labrador Buck e un ficus, in un appartamento che spesso si tramuta in alcova e che accoglie donne improbabili e mal gestite dal protagonista, per scacciare la malinconia di un grande amore finito per orgoglio e per l’anelito spirituale verso la grande città.
Radeschi è un uomo fragile, pasticcione e inaffidabile, ma non piagnucoloso o malinconico.
Tutte le sue azioni, dalla corte serrata ad una donna alla risoluzione di un caso importante sono vissute con grandissimo senso di leggerezza.
La sua non è superficialità di contenuti, ma è piuttosto un sano e allegro menefreghismo, un tenersi a galla che al momento giusto salva dalla disperazione.
Clarks marroni ai piedi, jeans scoloriti, giacca nera con tasche ricolme di matite e fogli e camicia azzurra fuori dai pantaloni, questa è la divisa ufficiale di Radeschi, inadeguata per le redazione del Corriere, dove Beppe Calzolari, caporedattore dispotico, gli appioppa articoli di nera spesso non di particolare interesse, ma dai quali Enrico riesce sempre a trarre spunti interessanti per le sue ricerche.
Il suo look trasandato, e la sua aria un po’ bohemien, fa impazzire le donne, con le quali egli instaura un fortissimo appeal iniziale per poi rivelarsi una frana nella gestione della relazione.
Sfreccia attraverso la caotica Milano con una vespa gialla degli anni settanta, una guida spericolata e istintiva.
E’ un uomo legato ai suoi feticci e alle sue piccole manie.
Quella di fumare sigarette che si arrotola da solo, curare con grazia insolita la sua pianta d’appartamento e il suo cane, perdere notti a violare siti informatici iper protetti solo per il gusto di dimostrare la sua incredibile intuizione e dominio sul mezzo informatico.
Proprio questo talento tecnologico e la sfacciataggine che gli è propria, lo fa essere sempre sui luoghi dei delitti più efferati, guadagnando la stima e l’amicizia di Loris Sebastiani vicequestore della città meneghina.
L’attività di investigatore “a cottimo” parte proprio dalla collaborazione con l’insolito sbirro, Sebastiani, infatti, è un mastino, risoluto e dai modi spicci, ma tecnologicamente arretrato e quindi bisognoso di una spalla più evoluta.
Loris è tratteggiato con maestria da Roversi, single di ritorno, dopo esser stato scaricato da una moglie che non sosteneva più le sue stranezze di poliziotto, si butta a capofitto sul lavoro e sulle fulminee relazioni con donne dal quoziente intellettivo discutibile.
L’ironia e l’apparente maschilismo che contraddistingue sia Enrico che Loris non risultano mai fastidiose al lettore, vi si leggono degli accenti di studiata provocazione per vivacizzare la narrazione e dare ritmo alla trama.
I delitti con i quali i due si confrontano sono efferati e avremo modo di parlarne diffusamente quando ci addentreremo nei singoli episodi che li vedranno protagonisti.
Tuttavia la cupezza del crimine e anche una buona dose di critica sociale sono di continuo intervallati a momenti lievi, alla narrazione di storie di letto improbabili e ridanciane, allo studio attento di tipologie umane ridicole e quasi fumettistiche.
Una buona dose di cinismo contraddistingue Loris ed Enrico, la consapevolezza che bene e male convivono in ogni situazione, e la certezza che ogni caso risolto non si può considerare una definitiva vittoria del bene, ma solo un’illusoria transizione in attesa di qualche altro episodio oscuro.
La magia narrativa di Roversi è forse quella di non far mai sprofondare il lettore nell’incubo, risollevarlo anzi appena in tempo, scacciando il cattivo pensiero e sostituendolo con la curiosità investigativa,e risolvendo solo nelle ultime pagine l’enigma giallo.

Alessandra Anzivino

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