Yrsa Sigurðardóttir – Il tempo della vendetta



Yrsa Sigurðardóttir
Yrsa Sigurðardóttir
Mondadori
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Yrsa Sigurðardóttir non disattende le aspettative e con Il tempo della vendetta conferma di meritare il titolo di regina del thriller islandese.
Il secondo episodio della Children’s House series prosegue il cammino iniziato con Il cacciatore di orfani, col quale l’autrice ci aveva messi di fronte a un impianto narrativo complesso e ottimamente articolato sia sotto l’aspetto suspense sia sul fronte delle dinamiche emozionali e relazionali che avevano visto coinvolti i suoi protagonisti: Yrsa Sigurðardóttir aveva assolto con abile maestria il compito di costruire una trama in cui tensione e ritmo erano sapientemente gestite non mancando di consegnare ai lettori una nuova coppia investigativa dalle caratteristiche intriganti e controverse. E sono proprio i suoi attori principali a reclamare la scena: non è ancora possibile calare il sipario sulle loro vicende personali. Troppe le questioni irrisolte: sentimenti da esplorare, rapporti da concretizzare, scelte avventate a cui rimediare.
Huldar e Freyja non si erano lasciati bene: l’epilogo della storia con cui avevano fatto il loro esordio letterario aveva portato conseguenze importanti sulla loro vita lavorativa e, di certo, non aveva lasciato ben sperare per quanto riguardava il loro rapporto. Entrambi si trovano a dover superare l’impatto emotivo con una retrocessione professionale dovuta alla poco ortodossa gestione dell’indagine precedente ed entrambi stanno ammortizzando il colpo in maniera molto diversa. Il detective è in qualche modo sollevato dal fatto di non essere più il capo, soprattutto perché la cosa implica anche la perdita di tutte quelle seccanti incombenze burocratiche legate al ruolo; tuttavia mal digerisce l’atteggiamento dei colleghi che lo trattano come se fosse un malato contagioso e, ancor di più, sta male per avere trascinato nel fango anche Freya.
Quest’ultima, da direttrice della Casa dei bambini è stata declassata a psicologa infantile: l’Agenzia per la protezione dell’infanzia non ha ritenuto opportuno che conservasse il prestigioso incarico dopo che aveva sparato a un uomo mentre si trovava sul posto di lavoro. Freya è in preda alla rabbia più furiosa e oggetto di quella rabbia che ribollisce è proprio il detective. Dopo una prima notte di passione, trascorsa insieme nel libro precedente, le cose avevano preso una brutta china, ma Huldar sperava ancora di poter avere una seconda occasione che gli consentisse di aggiustare il tiro e riportare il loro rapporto sul binario giusto.
Il destino sembra voler dare una mano all’investigatore quando al Commissariato giungono, rivenute in una capsula del tempo, delle strane lettere scritte un decennio prima da degli studenti. In una di esse è contenuta una sorta di profezia che anticipa che nel 2016 delle persone – indicate solo con una lettera maiuscola – moriranno: l’autore – Thröstur, alunno di prima B – viene presto rintracciato e Huldar chiede a Freya di definirne il profilo psicologico per capire se dietro quelle frasi possa nascondersi un pericolo concreto. La conclusione a cui arrivano è che il caso non è in realtà un caso, non si tratta di nulla che vada al di là della fantasia di un adolescente. Ma le certezze della coppia vengono messe in dubbio dal macabro rinvenimento di due mani mozzate: la vittima si chiama Benedikt Toft e le iniziali del suo nome – BT, oltre a K, S, JJ, AV e I – si trovano proprio nel messaggio dello studente. La coincidenza non passa inosservata agli occhi dell’investigatore che rimette tutto in discussione e si trova di fronte a una rivelazione quantomeno sospetta: Thröstur, l’autore della lettera è figlio di Jón Jónsson – JJ – che dodici anni prima ha violentato e ucciso una bambina. A tutto ciò si aggiunge una serie di omicidi che che fanno pensare all’ipotesi di un killer seriale. Difficile, però, individuarne identità e, soprattutto movente.
In un’atmosfera carica di tensione Il tempo della vendetta si muove tra più piani narrativi che sanno ben intrecciare presente e passato, componente crime e un impianto particolarmente legato alle vicende personali dei vari interpreti, mentre, come è prerogativa imprescindibile dei gialli nordici, rimarca con precisione quasi chirurgica tutta quella gamma di manchevolezze individuali, ma, soprattutto collettive che devono essere ascritte a ogni nucleo sociale.
Lassismo ed apatia morale. Ipocrisie. Cinismo. Pedofilia. Collusioni. Ecco le pietre dello scandalo che l’autrice non manca di sottolineare con uno stile che si avvale di una prosa consapevole e uno stile maturo ed efficace, capace di dare forma a una rappresentazione suggestiva e a tratti scabrosa nell’intenzione di farsi veicolo di denuncia e sollevare il velo sull’indolenza e la criminale inadeguatezza che segna l’animo di una società che disattende uno dei suoi doveri fondamentali, l’attenzione verso i più deboli.

Mariella Barretta

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