Allan Folsom

In occasione della recente uscita del suo nuovo romanzo, “Il dossier Hadrian” (Longanesi 2010), abbiamo avuto l’onore e il piacere di incontrare Allan Folsom, uno dei numi tutelari, credo, per ogni buon appassionato di thriller. Nel corso della lunga chiacchierata, Allan ha voluto illustrarci il suo approccio alla narrazione, rievocando gli inizi della sua carriera come sceneggiatore e documentarista, al punto che l’incontro si è a poco a poco piacevolmente trasformato in un’affascinante lezione di scrittura… Grazie Alan, See You soon!

È la terza volta che utilizzi il personaggio di Nicholas Marten…

Beh, vedi, alla fine del primo libro conoscevo bene il mio personaggio. Al termine del secondo lo conoscevo ancora meglio, così, quando mi sono trovato a impiegarlo di nuovo sono stato felice, dal momento che ora posso dire che ormai è come un fratello per me. Sai com’è, quando puoi continuare a utilizzare un dato personaggio, hai la possibilità di svilupparlo, di collocarlo in situazioni più complesse. Ma devi anche stare molto attento a non lasciarti prendere la mano da troppi riferimenti alle precedenti apparizioni; in effetti puoi leggere questi romanzi in sequenza, ma non è strettamente necessario. Il lettore deve essere sempre in grado di capire chi è questo personaggio, cosa stia facendo o si accinga a fare. Ma in generale devo dire che per me è piacevole lavorare con un personaggio che conosco bene, rispetto ad esempio a quando mi trovo, al contrario, a dover costruire tutto da zero.

Uno dei personaggi chiave del tuo nuovo libro è un prete: come mai questa scelta?

Voglio tranquillizzarti: la scelta non è legata al tema della religiosità, mentre invece è vero che, in quella particolare ambientazione – la Guinea Equatoriale – un prete ha la possibilità di conoscere in maniera approfondita gli abitanti del luogo e la situazione specifica di quei luoghi, certamente meglio di un laico. In genere quando accade qualcosa, sono i preti i primi a saperlo. Così, in un certo senso, diciamo che la scelta è stata puramente strumentale.

Qual è il tuo approccio quando cominci a scrivere un nuovo libro?

Beh, diciamo che cerco di individuare un plot da cui partire, in genere molto semplice. Possono essere, come in questo caso, delle fotografie, che nel libro assurgono a un ruolo molto importante…

… Dunque hai un approccio molto visivo, se così si può dire, alla narrazione…

… Decisamente. Ma, per tornare alla tua domanda, come ti dicevo, il plot in sé è molto semplice. Le complicazioni, chiamiamole così, vengono dopo, e sono legate ai personaggi, alle loro motivazioni. È interessante mettere in relazione tra loro i vari personaggi, vedere come un personaggio già noto al pubblico possa interagire con nuovi personaggi e situazioni: servizi segreti, agenzie di sicurezza, mercenari, le multinazionali. Parlando di queste ultime, quali sono gli interessi delle multinazionali? Sono sempre puliti o nascondono qualcosa di poco chiaro, in grado di suscitare la curiosità dei lettori? Ecco, direi che gli ingredienti di base sono questi; è a partire da loro che poi ho sviluppato il resto della vicenda. E, se è vero che il plot è semplice, lo sviluppo della storia non lo è affatto, però! Vedi, la domanda che dobbiamo porci è sempre la stessa: “Perché?”, “Cosa sta succedendo qui?”. C’è un’agenzia di sicurezza che, oltre a svolgere i propri compiti istituzionali, sembra stia fomentando una guerra civile…

… Del resto questa è una pratica non nuova per l’America, penso all’affaire Blackwater, che vide coinvolto perfino un presidente, Bush…

Certamente, proprio così! Gli Americani, lo sai, fanno così!

… Beh, speriamo non proprio tutti, Allan!

Speriamo! E comunque, sai, è la natura del business, c’è poco da fare. Io però mi sforzo di essere ottimista. Per tornare alla trama del libro, ho cercato poi di sviluppare più piani, oltre al plot principale, come la sfera personale del protagonista, che si pone molti interrogativi sui punti più oscuri della vicenda.

Questo romanzo è fortemente legato all’attualità: dalla questione del petrolio alle trame oscure di certa politica. Pensi che la letteratura possa avere un ruolo di denuncia o di sensibilizzazione delle coscienze?

Mi piacerebbe fosse così, ma con quante persone puoi entrare in contatto tramite un libro? Nel migliore dei casi, se sei davvero fortunato, diciamo un milione, OK? Quindi, come vedi, non è che si possa fare granché con i libri. A volte accade che un libro ottenga un successo planetario, ma è raro. In passato il libro era l’unico veicolo per veicolare certe idee e istanze, certo. Penso a Dickens, per esempio, che ha saputo fotografare così bene il suo tempo: in un certo senso leggere i grandi libri del passato è come utilizzare una macchina del tempo… Però è con il cinema che puoi raggiungere masse sterminate di pubblico, e allora in quel caso sì che potresti ottenere qualcosa. Si può fare intrattenimento, come facevano del resto lo stesso Dickens, Dostoevskij o Tolstoy, ma descrivendo cose reali puoi comunicare dei contenuti importanti.

Qual è la tua opinione sul disastro petrolifero del Golfo del Messico?

Beh, ho le stesse informazioni che avete voi. Di certo posso dire che sono stati commessi degli errori, e credo che non siano state prese tutte le necessarie precauzioni da parte npon solo dei singoli, ma anche dei vertici societari. Auguriamoci almeno che quanto accaduto possa essere di monito per il futuro, perché questo genere di disastri non abbia più a verificarsi. Gestire i combustibili fossili come il petrolio è pericoloso, certo, ma le alternative più ecologiche restano per il momento ancora insufficienti, così dovremo convivere ancora a lungo con l’oro nero, che del resto gioca un ruolo ancora fondamentale in politica e nell’economia. Pensa anche al potere delle lobbies, al fatto che molti uomini politici hanno forti interessi in quel campo.

… Come George Bush, l’ex presidente degli Stati Uniti…

Certo, ma non solo lui. Ecco perché sarà difficile riuscire a contemperare i vari interessi in gioco.

Sei stato sceneggiatore di una serie televisiva molto famosa anche in Italia, tuttora replicata con successo, “Cuore e batticuore”: che ricordi hai di quei giorni e che influenza ha avuto quel lavoro sulla tua successiva incarnazione di scrittore di successo?

Mi fa davvero piacere che tu l’abbia ricordata: fu un periodo molto piacevole, e Robert Wagner è un attore davvero simpatico. Detto questo, quell’esperienza fu molto proficua per la mia carriera di scrittore. Ma prima ancora di fare lo sceneggiatore di serial televisivi, sono stato per diversi anni documentarista, e quest’attività è stata utilissima, direi quasi decisiva, nel fornirmi il giusto approccio alla narrazione, dal momento che mi imponeva di individuare temi, luoghi e persone che potessero risultare interessanti al pubblico televisivo. Ancora oggi tengo presente quel metodo, che mi consente da un lato di mettere subito a fuoco gli elementi principali di una storia e dall’altro di rimanere aderente al plot. Del resto non ci sono segreti particolari per imparare a scrivere: devi leggere e scrivere molto. Non puoi apprendere o insegnare a scuola come si scrive: devi farlo, punto. Può essere un processo molto faticoso, certo, ma quando riesci a comporre tutti i frammenti del puzzle – la scrittura, l’editing, il filming – è allora che cominci a comprendere e a utilizzare l’economia della narrazione. Scrivere per la televisione ti obbliga a una narrazione veloce: devi essere subito coinvolto come spettatore, o cambierai canale all’istante, lo sappiamo. Non è un caso che tutti i miei romanzi cerchino di attrarre l’attenzione del lettore sin dalla prima scena. Una volta si usava concedere a un libro lo spazio di una sessantina di pagine prima di decidere se era il caso o meno di proseguirne la lettura, ma ora – l’ho capito tenendo reading nelle scuole, ad esempio – che la soglia si è abbassata fino a due, tre pagine al massimo, capisci? Di conseguenza, se le prime pagine non funzionano, il libro verrà abbandonato. Potresti obiettarmi che queste regole si applicano solo ai thriller, e non agli altri generi letterari, ma posso dirti che le cose sono cambiate parecchio, se penso alle nuove generazioni, cresciute con la televisione: tutti hanno ormai quest’approccio accelerato ai contenuti – video, cinema, libri – di cui non possiamo non tenere conto. Non vogliono troppe spiegazioni, ma solo azione e coinvolgimento immediato. È un’era veloce la nostra, ci piaccia o meno.

Che peso ha il successo editoriale nelle tue scelte di autore?

Personalmente non mi lascio troppo influenzare dalle pressioni esterne o dai successi precedenti: cerco di scrivere solo quando ho davvero qualcosa da dire. Certo, non ti nascondo che al mio editore piacerebbe moltissimo se scrivessi di più, diciamo a cadenza annuale, ma cerco di resistere, ahah! Devo dire che provai molta paura quando, dopo l’enorme successo riscosso dal primo libro, mi trovai a scriverne un altro, ma – insomma – direi che in fondo sia andata bene, no?

luigi milani

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