Amok, le stragi dell’odio
I puffi esistono e sono tra noi.
Aspettate a chiamare la neuro. Intendiamoci, non sostengo di vedere attorno a me degli strani ometti blu alti due mele o poco più ma che mi capita di riconoscere alcune caratteristiche “puffose” nelle persone. Pensateci bene, tra le vostre conoscenze c’è chi è un tipo alla “Grande Puffo”, così saggio da sapere sempre cosa fare o cosa dire per avere il controllo della situazione oppure chi ha le caratteristiche di “Forzuto” e vive in palestra, per non parlare di quello alla “Quattrocchi” che legge troppi libri e proprio non riesce a non scrivere recensioni.
Se ci pensate bene, in una decina di minuti mettereste su un villaggio ma, state attenti, prima del 2012 un’occupazione del genere era considerata infantile, poi le cose sono cambiate dopo la pubblicazione de Il libro nero dei puffi di Antoine Buèno. Visto o non visto, potreste essere accusati di scegliere i cittadini per formare una comunità distopica basata sull’ideologia nazista-stalinista, ma questa è tutta un’altra storia.
Che vogliate giocare o meno, poco importa ma state attenti a chi scegliete per il ruolo di Puffo Brontolone. Nei cartoni è poco più di una macchietta, un bastian contrario che riesce sempre a dire “io odio” ma nella realtà potrebbe anche essere il prossimo a imbracciare un fucile automatico, scendere per strada e in preda all’Amok sparare a chiunque incontri.
Cos’è l’Amok?
Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi nel saggio divulgativo Amok, le stragi dell’odio rispondono in maniera esaudiente alla domanda. Amok è l’abbreviazione del termine malese mengamok che indica una rabbia disperata, un’idrofobia umana in grado di trasformare un individuo in un rampage killer, un assassino furioso che può avere i connotati e la storia di Stephen Craig Paddock, l’uomo che dal balcone di un hotel di Las Vegas sparò sul pubblico di un concerto country, del norvegese Anders Behring Breivik responsabile della morte di 77 persone oppure di Eric David Harris e Dylan Bennet Klebord che compirono l’assalto alla Columbine High School.
Questi sono alcuni dei casi approfonditi dai due autori per analizzare le cause che portano degli individui a sfogare la propria rabbia contro alcuni gruppi di persone. Il filo rosso che collega tutte queste stragi è l’odio, un sentimento molto diffuso nella nostra società che – unito alla paura e alla sensazione di precarietà – è in grado di influenzare l’etica, la politica e la condizione esistenziale.
Non siamo tutti destinati a diventare dei killer sanguinari, ma è certo che non siamo più in grado di smaltire questo rifiuto tossico dalla nostra quotidianità. Lucarelli e Picozzi hanno il merito di porre l’attenzione su un problema, a noi lettori spetta il compito di trovare una soluzione umana lontana dalla schizofrenia da social network o dall’ebrezza di appartenere a sette intransigenti.
Insomma, anziché stare alla finestra per avere l’occasione di sfogare il proprio malumore contro le persone odiate, sarebbe meglio ricordare le parole di Charlotte Bronté: “la vita mi sembra troppo breve per spenderla a odiare e tener conto dei torti altrui.”
Amok, le stragi dell’odio
Mirko Giacchetti