Disturbo della pubblica quiete – Luca Bizzarri



Luca Bizzarri
Disturbo della pubblica quiete
Mondadori
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È una notte come tante per l’ispettore della polizia di stato Marco Pieve e per l’agente Enrico Rossetti. Sono quasi a fine turno in una Genova invernale (mai apertamente nominata ma assolutamente riconoscibile) fredda e con un cielo che minaccia neve.
Aspettano solo di tornarsene a casa, ognuno alla propria vita almeno per qualche ora, fino all’inizio del prossimo servizio.
Ma una chiamata scombina i loro piani: un gigantesco omone di colore sta prendendo a calci una porta in una palazzina del centro storico, chiedendo di essere portato in galera.
Quello che sembrava un normale intervento per preservare la quiete pubblica si trasforma in una mezza odissea. Tecnicamente il tipo non ha commesso reati, non è nemmeno un clandestino, quindi portarlo in questura sarebbe inutile, sarebbe fuori in un attimo mentre i poliziotti passerebbero la notte a riempire scartoffie.
Pieve ha fama di uomo burbero e poco incline alle scorciatoie, ma quella sera proprio non ha voglia di essere ligio al dovere. Inizia così una lunga ricerca di modi, anche bizzarri, per liberarsi di quell’ingombrante fardello che ripete ossessivamente che vuole essere incarcerato e che sta rovinando la loro serata e non solo…
Disturbo della pubblica quiete è la storia di tre destini che si incrociano in una fredda notte che cambierà tutto.
E il disturbo della pubblica quiete altro non è che lo sconvolgimento delle vite e delle convinzioni dei protagonisti, l’esplodere di quell’insoddisfazione a lungo celata e ignorata in favore di un’immagine pubblica di normalità, una quiete d’animo esibita ma non provata.
Luca Bizzarri indubbiamente sa scrivere: la naturale ironia e l’abitudine a scrivere testi brillanti, che devono essere concisi ed efficaci, con la parola giusta al momento giusto, si ritrovano tutti nella prima parte del libro con la lingua che rende e sorregge l’assurdità della situazione raccontata strappando ben più di una risata, per arrivare poi alla seconda parte, quella più introspettiva, psicologica e dolorosa, dove il linguaggio si adegua senza tuttavia perdere freschezza e incisività.
Il racconto che Mamadou fa della sua vita di migrante è un invito alla riflessione, a osservare, non solo a guardare di sfuggita, la vita delle persone che incontriamo per strada ogni giorno. Persone che hanno lasciato la propria terra per provare a vivere davvero, essere padrone del proprio destino e che invece vanno solo a consegnarlo nelle mani di qualcun altro dall’altra parte del mondo, prigioniere come prima, in balia di qualcuno che decide per loro. Ma questo non essere padroni della propria vita, l’avere rinunciato ai propri sogni, a volte anche per viltà, questa impossibilità per mille motivi di non poter essere liberi di vivere come si vuole, è comune a molti, ovunque, a prescindere dal colore della pelle, e sarà l’innesco per il finale del libro.

Cristina Aicardi

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