Giungla d’asfalto

Tratto da una novella di William R. Burnett, Giungla d’asfalto è un noir poliziesco che per primo ribalta il punto di vista della narrazione.

Niente più Sam Spade o Philip Marlowe, ma ci troviamo di fronte ad un gruppo di ladri inghiottiti dalla vita criminale, con tutte le sue conseguenze nefaste. Il punto di vista è esclusivamente quello del criminale e Huston si sofferma su tutte le fasi del furto, allungando il tempo oltre il necessario, quasi a dilatarlo fuori misura.
Scelto nel 2008 per essere conservato nel National Film Reistry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, Giungla d’asfalto racconta di Doc, un ladro di professione, che appena uscito dal carcere organizza, assieme ad un avvocato mal ridotto, la rapina del secolo.

Sceglie meticolosamente tutti gli uomini della banda, dallo scassinatore al basista. L’obiettivo è una gioielleria e proprio quando sembra fatta, l’allarme li tradisce e li coinvolge in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine.
In Giungla d’asfalto non si fa mai riferimento al nome della città in cui è ambientato aumentando la sensazione della “giungla d’asfalto” in cui si muovono i personaggi. Dando un qui e un dove alla vicenda si sarebbe sgonfiato il sapore esemplare che lo caratterizza e ci saremmo trovati di fronte ad una storia come potrebbero esserlo tante altre. Invece, questa pellicola di Huston, è un capolavoro di vigore narrativo e morale.

Il regista non mette in scena i buoni, guarda solo ai cattivi e li imprigiona come marionette in un mondo stritolato da conflitti e tradimenti, dove nessuno può fidarsi di nessuno. Grandissimo il direttore della fotografia Harold Rosson, candidato all’Oscar, che crea queste atmosfere con un bianco e nero tagliente che rispecchiano la lotta per la sopravvivenza di questi criminali con un fondo di umanità, e trasformano la città metropolitana in una giungla. La sceneggiatura è ben bilancia tra i momenti di azione e i momenti di caratterizzazione dei personaggi. Per capire quello che succede bisogna entrare nella testa dei personaggi e sentire la loro paura, scaturita dall’essere braccati e dal vedere i propri compari cadere uno a uno.

Giungla d’asfalto pone le basi, assieme a Rapina a mano armata, di tutto il cinema di genere a venire. Per la prima volta sentiamo di patteggiare per dei criminali, ma lo sentiamo a ragione, perché Huston si prende tutto il tempo per far scaturire l’umanità che nascondono. È un poliziesco, ma è anche qualcosa di più.
Lascia le atmosfere rarefatte e torbide per passare a situazioni quasi documentaristiche. E in queste situazioni molto verosimili, si lancia in un’analisi quasi sociologica di personaggi che si muovono in un microcosmo noir e che cadono perché soggetti di coincidenze sfortunate.

Nel proporsi come ottimo film non scherza affatto e centra in pieno l’obiettivo. Qualsiasi altro film del sottogenere del “colpo grosso” dovrà guardare a Giungla d’asfalto, che già dall’uscita si poneva come un’allegoria, creando una galleria di personaggi, dove nessuno è privilegiato dalla struttura narrativa. Cinematograficamente perfetto. Una pietra miliare che non si può non vedere e non apprezzare.

Regia: John Huston. Sceneggiatura: Ben Maddow, W.R. Barnett, J. Huston. Interpreti: Sterling Hayden, Louis Calhern, James Whitmore, Sam Jaffe, Marilyn Monroe. USA, 1950, b/n, 112’

michele comba

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