Grosso guaio a Roma Sud – Marzia Musneci



Marzia Musneci
Grosso guaio a Roma Sud
Todaro
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I gemelli “congiunti” Zek e Sam, ingenui balordi della periferia romana, ricevono l’ordine da Chick Lanzetta, il boss del quartiere, di dare una lezione a un vecchio orologiaio. Peccato che poco dopo il negoziante venga ritrovato morto. Qualcuno sta cercando di addossare il crimine ai due fratelli che, mentre provano a discolparsi, vengono aggrediti, seguiti, minacciati. Ma i ragazzi avranno alcuni improbabili complici nella loro indagine: il vice ispettore Nick “Badile” Castillo, un duro convinto però che stavolta siano solo capri espiatori; Bob Carrezza, coraggioso giornalista di cronaca nera; Minny Morelli, il loro allenatore di boxe; Abbe e la “magica” Luz.
Uscito da qualche mese in libreria per Todaro Editore (collana Impronte), Grosso guaio a Roma Sud di Marzia Musneci è un piccolo, riuscitissimo affresco sulla criminalità organizzata e sui suoi intrecci con la politica, ambientato in un quadrante ben preciso della capitale, quello Sud appunto.
Protagonisti principali sono i gemelli “congiunti” Zek e Sam, simpatici gemelli siamesi, appunto, e delinquenti di piccolo calibro, che si trovano sempre, loro malgrado, invischiati in faccende ben più grandi di loro e riescono “quasi” sempre a cavarsela, in modo assai rocambolesco e mantenendo sempre il loro spirito guascone.
Al loro fianco, altri attori coprotagonisti e comprimari vari, tutti assai azzeccati, che compongono un quadro al tempo stesso ironico e tragico di una certa parte della vita sotterranea dell’urbe, il famoso “mondo di sotto” balzato alle cronache ancora recentemente.
Tensione costante fin dalle prime pagine, con la giusta dose di morti ammazzati, torture efferate e i necessari, riusciti colpi di scena.
L’autrice, Marzia Musneci, non ha bisogno di presentazioni, in quanto già ben nota agli amanti del giallo di qualità, e anche questa volta riesce a coniugare con ottimi effetti ironia, richiami di attualità e grande drammaticità.
Fortemente raccomandato.

Gian Luca A. Lamborizio

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