I finalisti del Premio Scerbanenco 2021: Tre madri – Francesca Serafini



Francesca Serafini
I finalisti del Premio Scerbanenco 2021: Tre madri
La Nave di teseo
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Noir In Festival – Premio Scerbanenco 2021: L’incontro con la cinquina dei finalisti si terrà venerdì 10 dicembre alle ore 17.00 al Teatro Filodrammatici di Milano.
Entrata libera fino a esaurimento postiÈ consigliata la prenotazione inviando una mail a reservation@noirfest.com,
indicando nome e cognome dei partecipanti e la data e l’evento per il
quale ci si intende prenotare.

Tutti gli eventi del Noir In Festival si svolgeranno in ottemperanza delle vigenti norme sanitarie.

Nell’attesa della proclamazione del vincitore riproponiamo la nostra recensione a Tre madri di Francesca serafini

Tre madri, il romanzo di Francesca Serafini. Tre madri l’omonimo brano di Fabrizio De André, che ne trafigge le pagine con note di pari dolore. 
Entrambi, romanzo e poesia in musica, piangono figli comunque perduti. 
Tre, nel romanzo, che continuano a gridare “nel sangue e nel cuore” delle loro madri, non importa la causa del loro allontanamento: uno scomparso, quasi volatilizzato; una morta prematuramente; un’altra allontanatasi per l’impossibilità di un perdono.
È quel rapporto – tra madri e figli soprattutto, ma più in generale tra genitori e figli – che campeggia al centro dell’intenso e raffinato noir di Francesca Serafini, un legame capace di condizionare la vita degli uni e degli altri perché diventare genitore è forse “la prova più difficile da superare, senza neanche il supporto di una scuola, un’università, un corso qualunque in cui basti studiare per prendere il massimo dei voti”. Nessuno t’insegna a evitare il peggio e se poi, per sbadataggine o imperizia, ci scivoli dentro, ancora nessuno ti garantisce l’assoluzione.
Sono queste le riflessioni che agitano la mente di Lisa Mancini, commissaria dirigente in un paese della provincia di Rimini, mentre accorre a indagare sulla scomparsa di River, un adolescente che vive con i genitori in una comune di artisti alle porte di quel paese. River non è un ragazzo problematico, anzi per i suoi quindici anni è maturo e impegnato, negli studi e nella musica per cui mostra un vero talento, apprezzato da compagni e insegnanti. Eppure, il mattino dell’11 gennaio 2019, è uscito alla solita ora per recarsi a scuola, ma non vi è mai arrivato: svanito nel nulla, volatilizzato. E pensare che quel giorno, avrebbe dovuto partecipare a un concerto in ricordo di Fabrizio De Andrè, che lui stesso aveva contribuito a organizzare e al quale teneva moltissimo. La commissaria dunque “accorre”, per indagare sulla scomparsa di River, ed è questa la parola che meglio ritrae la sua immediata adesione a quel mistero. Immediata quanto imprevedibile, perché, da quando si è trasferita a Montezenta, Lisa si è dimostrata apatica, distante, indifferente, superficiale perfino nella blanda sorveglianza sui casi e sui collaboratori, gli occhi quasi tutto il tempo incollati a Candy Crush Soda, il videogame rompicapo installato sul suo cellulare. Anche lei è un mistero: non lega con nessuno, da mesi vive in un bed and breakfast, oscuri restano i motivi del suo trasferimento da un prestigioso incarico presso l’Interpol di Lione al commissariato di un paese di provincia, uno dei tanti a ridosso dell’Appennino. Eppure, la scomparsa di River desta in lei il bisogno irrefrenabile di svelarne il mistero, se possibile di trovarlo ancora vivo, conquistata dal legame quasi empatico che subito avverte con la madre di lui, Aimee. Lisa sembra così tornare la brillante e motivata investigatrice di un tempo e non risparmia acume ed energie per venire a capo di un mistero che ha finito per travolgere molte vite, di altre madri, di altri figli. 
In Tre madri Francesca Serafini dà vita a un romanzo di rara intensità psicologica in cui lo svelamento della personalità della protagonista non risulta meno avvincente della soluzione dei crimini narrati. Lisa, che prima era “ascolto assoluto”, ha poi dovuto sopprimere una parte di sé e i suoi gesti sono divenuti talmente automatici da parere “celebrati sull’altare del distacco”. Alla fine però, da quella letargia di dolore riesce a destarsi, proprio riconoscendolo in altri e avvertendo il bisogno di soccorrerlo, di porvi rimedio. La sua storia, rivelata attraverso le infinite, pertinenti divagazioni di una mente ipercinetica, tassello per tassello in sincrono con l’indagine, si mostra catturante e terribile. 
Vividi tutti i personaggi, la gente di Montezenta con “le sue bellezze e le sue miserie” e gli artisti ribelli di Ca de Falùg, imperituri sognatori di un’arte libera per avere rinunciato a tutto, “al ricatto di qualunque necessità di finanziamento e a quello ancora più opprimente del contenuto”.  
Montezenta e Ca de Falùg, appunto. Luoghi accesi dalla fantasia letteraria dell’autrice, o meglio trasfigurati dal territorio reale: da Santarcangelo di Romagna il primo, incantevole borgo medievale abbracciato al dolce Colle Giove, da Mutonia il secondo, una piccola enclave di nostalgici underground che nella campagna del Marecchia piega rifiuti metallici – ferri contorti e lamiere arrugginite – a volitive asserzioni di forte espressività. 
Francesca Serafini immerge ogni elemento della sua narrazione in un tessuto stilistico irruente e consapevole, dal quale le geografie del romanzo – emotive, spaziali e atmosferiche – emergono con incancellabile impronta. Un lessico prezioso, il suo, ma non di vuota ostentazione – ah, quella “emmenalgia” che scivola liquida ma ingannevole, a sottendere invece una resistenza granitica, un’opposizione a oltranza – sostenuto dal ricorso a una punteggiatura impetuosa ma sempre consapevole, che accompagna e rinforza l’incalzante emotività del racconto. 
E che dire delle gustose e pertinenti citazioni, artistiche, cinematografiche, filosofiche, letterarie, musicali? Tutte pertinenti, preziosi cammei esse stesse, che non interrompono il flusso emotivo della narrazione, ma anzi lo rinforzano ravvivandolo.
Ne menziono solo una, filosofica appunto, di quel Reinhard Brandt, oggi seguito con vivo interesse, che nel saggio D’Artagnan o il quarto escluso ha ripreso, e in parte confutato, l’asserto in merito di Jung e Pauli. Il buon Dumas ne I tre moschettieri intendeva dar spicco ad Aramis, Athos e Porthos,  rappresentanti emblematici dell’ordine sociale di quella Francia prerivoluzionaria – nobiltà militare, clero e borghesia – ma finiva per raccontare la storia di D’Artagnan, ovvero del quarto, il “quarto escluso” perché con loro non c’entrava per nulla.
Così le Tre madri di Francesca Serafini è la storia di Lisa. Vi consiglio di leggerlo, e vedrete il perché. 

Giusy Giulianini

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