L’anima è una scintilla della sostanza delle stelle, scrisse Eraclito. E cosa c’è di meglio per Nicola Scicchitano, presidente della Corte d’Assise in ferie, che restare dopo cena con gli altri variegati ospiti internazionali sdraiati sulle poltrone ad ammirare dal Conventino lo splendido cielo notturno con il suo brillante chiarore non guastato dall’ inquinamento luminoso?
In vacanza ai primi di un tiepido ottobre 2018, dopo aver lavorato come un mulo tutta l’estate, ma lontano da casa e dal palazzo di giustizia e con il non pubblicamente dichiarato scopo di scrivere un libro suo.
E allora via da Reggio Calabria, partendo alle otto di mattina sulla sua vecchia ma comoda Alfa Romeo per poi imboccare la strada per Caminiti, antico borgo cinquecentesco, un grumo di antiche case oggi abitate da poco più di duemila nime, arroccato su un promontorio basaltico a picco sulle coste estreme dello Jonio, con a bordo solo un borsone con poche cose tra cui, pare evidente un computer ma anche una stecca intonsa di Lucky Strike e il suo prezioso accendino Ronson Varaflame. Scicchitano infatti è un accanito, inguaribile fumatore.
La sua meta finale a pochi chilometri da Caminiti è il Conventino, raffinato albergo a due piani con appena trenta camere, antico convento di monache clarisse, convertito dai nonni di Annachiara Codispoti, l’attuale proprietaria, in una moderna e confortevole struttura ricettiva, frequentata da una clientela raffinata e selettiva. Come affezionato vecchio cliente, lo considera la migliore scelta possibile per trascorrere in pace e da solo un periodo di ferie. Sciacchitano, infatti, la cinquantina passata, si considera più o meno separato consensualmente, pur mantenendo ottimi e costanti rapporti telefonici con Flora, sua moglie, brillante, ricca ed estroversa donna d’affari, sempre in viaggio, con redditizi investimenti immobiliari all’estero. Lui solo e stufo di sentenze, con incombenti tristi pensieri legati alla mezz’età che lo assalgono e non lo divertono, vuol provare a cambiar musica facendo qualcosa di nuovo e diverso: indossare il cappello di romanziere . Gli frulla in testa una mezza idea su una fiction storica ambientata nel cinquecento o forse negli anni trenta. Non ha ancora deciso…
Unico neo nel raggiungere la sua meta, e che il nostro magistrato decide di scacciare come una mosca fastidiosa, è un rosicante senso di impotenza e inadeguatezza di fronte a un vecchio caso insoluto. Uno scacco che gli brucia ancora, proprio legato a Caminiti, fatale teatro di un brutale delitto irrisolto: A Caminiti, infatti, il 10 agosto del ’95 una giovanissima padovana, Cristina Burato, appena sedicenne e che si trovava là in vacanza, era stata stuprata e uccisa. Un orrendo delitto, che ai suoi tempi aveva dato luogo a una lunga inchiesta , ma che alla fine, per le negative risultanze e con tutte le testimonianze intercorse a favore dell’unico possibile colpevole, era stato costretto ad archiviare.
Ciò nondimeno, qualche giorno dopo il suo arrivo al Conventino, una bella mattina , mentre davanti a un caffè rumina sui possibili sviluppi della sua trama, un malandrino raggio di sole lo costringerà ad alzare gli occhi su una serie di foto ricordo dell’albergo appese alla parete.
E su una in particolare, in cui riconosce la padrona dell’albergo , Annachiara Codispoti, ormai una vecchia amica e che qualche volta negli anni è occasionalmente diventata anche una piacevole compagna di letto. Nella foto, lei è in piedi davanti a una torta per festeggiare il suo trentesimo compleanno, fatto evidenziato dalle tre grandi candeline, con ben chiara, scritta sotto a penna la data: 8 agosto 1995. Su un’altra foto vicina, Cacciapuoti noterà subito il giovane abbronzato, approssimativamente un coetaneo di Annachiara che, con in mano un bel Ronson quasi uguale al suo, sta accendendo le candeline, e poi sempre lo stesso immortalato in una successiva immagine mentre sta stappando una bottiglia di Dom Perignon. Ma in una quarta foto, sempre scattata in quell’occasione, individuerà, tra i presenti pronti a brindare, un volto noto nella ragazzina che sta scambiando con il giovane dell’accendino un inequivocabile sguardo di complicità. Nicola Cacciapuoti ricorda bene quel volto, allegato in tante pose alla documentazione fotografica dell’inchiesta, per l’omicidio di Cristina Burano. La ragazzina davanti a lui, inquadrata nella foto della festa di compleanno di Annachiara Codispoti è senza dubbio Cristina Burano, violentata e uccisa esattamente due giorni dopo. Però quell’uomo, il giovanotto, il trentenne abbronzato accanto a lei e che le sorride non è mai saltato fuori durante le indagini. La conosceva e le sorrideva? Ma chi era?
Sarà questo particolare a spingere Sciacchitano a far ripescare dagli archivi del Tribunale di Reggio il faldone di quel caso, da lui chiuso ventitre anni prima con un non luogo a procedere, per dare il via a una sua inchiesta riservata. Un’ indagine appassionante che seguirà in segreto o quasi, e addirittura in prima persona con come spalla a Reggio il fido dottor Bagaladi, a capo della sua cancelleria, e sul posto il colto brigadiere Spampinato, al comando della locale stazione, sicuramente destinato per personale capacità e cultura a diventare un ufficiale dell’Arma.
Le tante piste ravvisabili, che all’inizio appaiono valide, presto ohimè si dimostreranno errate e destinate a sbriciolarsi miseramente. Non resta che fare dietro front, ricominciare da capo, rivedere tutto con calma e risentire le possibili testimonianze. Serve tempo e pazienza.
Un cold case riesumato e una rischiosa inchiesta che il giudice Sciacchitano ha scelto di condurre senza esitare, fino ad arrivare a un tragico e non scontato esito finale nel quale, dopo aver finalmente squarciato il segreto, il magistrato si troverà di fronte a una sconvolgente e drammatica verità.
Una trama ben calibrata e lineare da giallo classico ma che coinvolge e intriga anche per la felice costruzione, l’evidenza e lo spessore dei vari personaggi.
Tra i quali domina il protagonista Nicola Sciacchitano con il suo mondo, la sua cocciutaggine, il suo incoercibile bisogno di fare giustizia e il suo sogno di scrivere un libro. Sogno forse anche dovuto alla volontà di un uomo senza figli di lasciare qualcosa di tangibile a memoria dietro di sé.
In ultimo sarà la luce – Giuseppe Vitale
Patrizia Debicke