I giorni dell’ombra



Sara Bilotti
I giorni dell’ombra
Mondadori
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Con I giorni dell’ombra Sara Bilotti ha scelto di spaziare in territori noir diversi e più originali della sua precedente produzione più conosciuta. La partenza, descritta nella sinossi de I giorni dell’ombra, è intrigante: un microuniverso racchiuso in un singolo palazzo, pochi personaggi e una protagonista originale, caratterizzata da alcune debolezze che dovrà riuscire a superare in quanto forse è l’unica persona in grado di ricercare la verità. Ma contemporaneamente I giorni dell’ombra è il disperato diario di una claustrofobica angosciante quotidianità, imposta ma mai del tutto inghiottita, che ostruisce persino il suono della voce, zittisce ogni parola e ribellione. E Vittoria è complice e prigioniera della sua spaventosa realtà. Vittoria ha ventisei anni, si è laureata, ma non è mai diventata veramente donna. Ha vissuto sempre da reclusa, con una sorella più piccola afflitta da agorafobia, una madre rassegnata e letargica e un padre duro, violento e possessivo. Da sempre la sua vita è ridotta ai pochi metri quadri dell’appartamento del condominio dove abita con la famiglia, ai pochi rumori o suoni, il pianoforte è importante, percepiti dai vicini, dalle scale, e al piccolo universo che le ruota accanto. Con il tempo tuttavia, pur considerandosi al confino, è riuscita in qualche modo a conoscere la comunità umana che abita nell’edificio e condividere con loro per interposta persona  piccole cose buone, meno buone, sensazioni. A farsi delle idee. Tra i vicini c’è Daniel, lo scrittore di origine rumena, di cui è segretamente innamorata, sentimento struggente e incoercibile ma reso più saldo e consolatorio forse dalla certezza che non sarà mai ricambiato. E poi c’è Lisa, che Vittoria ammira, considera un’amica, la persona che lei sognerebbe di essere, una modella bella, vivace e spregiudicata che sprizza sicurezza ed energia da ogni poro. Lisa la chiama al telefono quotidianamente: si sfoga, le racconta le sue giornate, permettendole così di tirarsi fuori dal suo ristretto guscio mentale, di condividere almeno per procura un mondo che non ha mai avuto il coraggio di affrontare. Ciò nondimeno quando da un giorno all’altro, Lisa, non torna a casa, non telefona più, insomma sparisce all’improvviso dal suo orizzonte, nessuno dei loro vicini e conoscenti del palazzo sembra preoccuparsene. Pensano tutti che sia partita per una della sue tante scappate sentimentali e che, ma certo, tornerà. Vittoria invece che è priva di notizie, non la sente da giorni, è sicura che a Lisa sia successo qualcosa di brutto. Che sia in pericolo. Sarà quella sparizione l’imprevisto in grado di rompere il suo isolamento? La spasmodica ricerca di Lisa la spingerà a violare la semiclausura cui si è condannata da anni, nel tentativo di arrivare alla verità e ad affrontare per una volta, sola e indifesa, le tante insidie del mondo esterno. Senza arrestarsi davanti a niente: neppure davanti al terribile dubbio che nella scomparsa dell’amica siano coinvolte le persone che le sono più care e che forse ritrovare Lisa significherà violare per forza il proprio io, la propria salvifica prigione. Ma Vittoria non si ferma, è disposta a tutto pur di arrivare a qualunque verità, comunque liberatoria anche se in grado di trasformarla.                                                                                                             I giorni dell’ombra rappresentano un microcosmo umano, immaginato più che visto da dietro uno schermo dalla protagonista, Vittoria, un’estranea rimasta per tanti anni praticamente invisibile a se stessa e al mondo, immersa supinamente in una mezzeria dell’esistenza che separa drasticamente la realtà dal desiderio. L’intero libro è permeato da un disagio palpabile a cui però nessuno può o vuole rinunciare per evitare di doversi mostrare agli altri. Ne sono un lampante esempio la sofferta figura di Daniel, quella più sfumata di Marco il pianista e della complessata sorella Clara. I giorni dell’ombra non è solo un noir, ma un dramma umano, dove tutti i personaggi si trasformano in meri espedienti per dar vita ad angosce, a sofferenze e a impressioni più profonde. È la rappresentazione di uno spaventoso vuoto di affetti da riempire e di tangibili emozioni da provare. E c’è un ineluttabile destino. Da una non vita segnata non si può uscire, salvo che per qualche minuto di illusoria libertà in un cortile. Perché uscire da quella aberrante non vita segnata significa soltanto e semplicemente non esistere più.

 

Patrizia Debicke

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