Il mio nome è Nessuno: Il ritorno



Valerio Massimo Manfredi
Il mio nome è Nessuno: Il ritorno
mondadori
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L’Odysseo/Ulisse che compare pagina dopo pagina in Il ritorno – secondo libro di Il mio nome è Nessuno, saga dedicatagli da V.M. Manfredi – è un protagonista ben diverso da quello che abbiamo conosciuto nel primo libro, in cui gioventù, spirito d’avventura, abilità e sublime ingegno primeggiavano, e dal principe forte, sicuro di se stesso, baciato dalla protezione della dea Athena, consigliere ascoltato dai suoi pari e alla fine il vero vincitore morale della guerra di Troia. Dopo dieci anni di guerra, di sangue, uccisioni e massacri, Odysseo è un uomo solo, stanco, pieno di dubbi che ha perso lo smalto giovanile e desidera solo far ritorno a casa con i suoi uomini, quelli scampati alla furia del nemico. Delle dodici navi, partite gloriosamente da Itaca, solo sei riprenderanno il mare dirette in patria verso le famiglie trepidanti in attesa, cariche di bottino sì, ma anche di spaventosi ricordi. Con per filo conduttore l’epica d’Omero, Manfredi ha costruito una trama limpida che, con straordinaria ricostruzione ambientale, ci catapulta nell’antichità, servendosi ad arte di una fredda scansione numerica dei capitoli, senza parole o descrizioni ad aprire la narrazione delle tremende avventure e terribili sofferenze che accompagnano il disgraziato e interminabile ritorno solitario dell’eroe a Itaca. Odysseo ha sfidato gli dei e loro con divina forza incontrollabile gli remano contro, per usare un termine marinaro, che ben si adatta alla storia. Fin dall’inizio tutto andrà storto e niente gli verrà risparmiato: i mangiatori di loto apportatori di oblio, l’illusione di Eolo, i lestrigoni, la maga Kirke e la ninfa Calipso pericolose, passionarie immortali e tentatrici, le terribili sirene e i gorghi di Scilla e Cariddi ma non basta. Odysseo scenderà addirittura nell’Hades per conoscere il suo tremendo futuro. Il drammatico incontro/scontro del capitolo 3 che lo segnerà per sempre sarà quello con il gigantesco ciclope Polifemo che lui accecherà ma poi – ebbro di superbo e vittorioso compiacimento, per troppi anni è stato solo un guerriero – sfiderà gridando il suo nome, provocando la maledizione del mostro e la terribile vendetta di suo padre il dio del mare Poseidone. Neppure uno dei suoi uomini si salverà. Quando, dopo vent’anni, Odysseo riuscirà finalmente a far ritorno a Itaca, sarà il giorno dell’esultanza, ma anche quello del regolamento di conti. Perché sarà costretto a battersi come leone e a commettere una carneficina per riportare l’ordine e la giustizia nel suo regno. Ci sono molte lacrime al passivo e poche gioie all’attivo in questo libro. Infinite lacrime sparse sulla lunga scia di amici e compagni morti dietro di lui, il guerriero che è diventato e che saprà vendicarsi senza pietà su chi gli ha fatto torto. Le poche gioie – in maggioranza al femminile – la speranza di un ritorno data da Eolo, un compiacimento amoroso con la maga Kirke, l’oblio di sette anni tra le braccia di Calipso, il sorriso di Nausicaa, la meravigliosa nave “drone” suo vettore prestata dai Faiakes (i Feaci) per attraccare finalmente a Itaca, che ci fa pensare alla fiabesca civilizzazione della mitica Atlantide, e infine le morbide braccia di Penelope sua sposa. Purtroppo per Odysseo non è finita. Il suo è un ritorno amaro. L’epica e il fato vogliono altrimenti: «… un oracolo mi impone di ripartire, per offrire un sacrificio in un luogo remoto, e soltanto dopo fare ritorno» dovrà dichiarare al suo popolo. Ma solo quando un remo grande e massiccio di frassino portato dalla corrente emergerà dai flutti davanti a lui, saprà che quell’ora è venuta.

patrizia debicke

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