Dopo il rigido inverno de Il senso del dolore (2007) e la dolce primavera de La condanna del sangue ( 2008), è arrivata la torrida estate di Il posto di ognuno, terzo romanzo della quadrilogia associata alle quattro stagioni di Maurizio De Giovanni.
Le stagioni si susseguono nella Napoli degli anni trenta, città che fa da sfondo alle indagini di Luigi Alfredo Ricciardi, commissario alla Regia Questura. Di bell’aspetto, di nobili origini, ma senza ambizioni nonostante la sua grande abilità e l’innegabile competenza , “l’unica cosa che sembrava interessargli erano le indagini”.
Rispettato da superiori e colleghi, Ricciardi è un uomo riservato e misterioso, che “percorrendo le sue strade incomprensibili arriva sempre al colpevole”. Possiede il “dono” di sentire il dolore “sospeso nell’aria dopo una morte violenta e di vederne la fonte”, una caratteristica, definita il “fatto”, che per Ricciardi si trasforma nella condanna a dedicarsi al dolore altrui senza scampo e che lo porta ad isolarsi e a rinunciare ad una vita privata serena e completa. Ne Il posto di ognuno, la vittima è la bellissima Adriana, trovata morta in casa con un colpo di pistola alla testa. Seconda moglie dell’anziano e malato duca Musso di Camparino, costretto da oltre un anno a letto da una grave malattia, Adriana era una donna mondana, amante delle feste, del divertimento e degli uomini.
L’ipotesi del delitto passionale sembra essere la più plausibile e convincente per il commissario ed il fidato brigadiere Maione. Mentre all’esterno il caldo soffocante e l’afa non concedono tregua, passione e gelosia sembrano vincere anche l’imperturbabile animo di Ricciardi.
“E’ terrorizzato dai sentimenti”- mi racconta l’autore- “perchè ne vede gli effetti sotto forma di omicidi e suicidi, quindi li combatte strenuamente. Ma è pur sempre un uomo, quindi è vittima egli stesso della tempesta che l’amore gli porta dentro”. In un’alternanza magistrale di sentimenti e sensazioni personali e ipotesi e supposizioni professionali, De Giovanni fa partire le indagini di Ricciardi con interrogatori, sopralluoghi e riflessioni che l’attento commissario fa soprattutto durante le sue passeggiate per i vicoli di Napoli. L’autore coglie così gli aspetti nascosti, simbolici e poetici della città partenopea, ne descrive odori, panorami, musiche e rumori e la gente, che aspetta il venerdì pomeriggio per godersi il fine settimana e divertirsi la domenica, giorno di festa e di “guerra” per i commercianti e per i bambini che affollano le strade principali e la Villa Nazionale. Ognuno ha il suo posto, occupa uno spazio, come un esercito pronto all’attacco. In queste pagine l’autore fa rivivere il clima festoso del tempo quando una pannocchia dorata o annerita o una ciambella cosparsa di perline d’argento rendevano felici grandi e piccini. Napoli diventa dunque protagonista nel romanzo.
Com’è la Napoli di de Giovanni?La mia Napoli è perenne come uno stato d’animo, e altrettanto passeggera. Nei tratti sostanziali si ripete all’infinito e per questo gli anni trenta sono molto più attuali di quanto si potrebbe credere. A volte mi diverto a cercarne le atmosfere nei vicoli e nelle piazze e le ritrovo là, intatte, negli occhi di una donna o nel pianto di un bambino, nello sporco degli angoli bui o nei meravigliosi elementi architettonici di epoche passate. Napoli è perenne nelle luci e nelle ombre, nei profumi e negli olezzi, nelle canzoni. E’ un’intossicazione dalla quale non è possibile guarire.
E a guarire dall’amore, dalla passione, dalla gelosia per Adriana non sembra essere capace il caporedattore Mario Capece, amante di Adriana, distrutto dal dolore per la sua perdita e principale indiziato dell’omicidio della nobildonna. Sono “le passioni a generare le morti violente, non il dolore”, di questo è convinto Ricciardi che procede con le indagini pur rimanendo sempre più invischiato in una ingarbugliata lotta contro i propri sentimenti, innescata e alimentata da Enrica e Livia, due donne diverse e affascinanti che sembrano essere entrate prepotentemente nella sua vita.
E la passione è una costante del romanzo, come quella di Ettore, figlio unico del duca, giovane schivo, che si dedica con cura maniacale alle piante del suo terrazzo, o quella del custode Giuseppe Sciarra per la sua famiglia ed i suoi figli perennemente affamati. Ognuno occupa il suo posto, “ognuno a fare la sua parte, e ognuno può essere felice solo al suo posto” e così ricchezza e povertà, nobili e povera gente, sprechi e sopravvivenza, ma su tutto la fame, vissuta e gestita diversamente a seconda del posto occupato nella società.
Ricciardi è consapevole della situazione ma come si pone di fronte a questa realtà?
Ricciardi è testimone muto e consapevole del degrado e della finzione che pone lo stesso degrado sotto metri e metri di menzogne. La sua non è pietà né giudizio, solo disincanto e malinconia per una sperequazione sociale che si perpetua nel suo tempo, non differentemente dalle epoche precedenti. Non c’è grandezza nell’essere vittima di ingiustizia, Ricciardi lo sa bene. Il suo coinvolgimento c’è solo per l’infanzia: opprimere i bambini significa togliere ogni speranza al futuro, lui se ne rende conto pienamente e si batte contro questo che è il peggiore dei delitti. Una battaglia persa, se ne rende conto: ma non può fare a meno di combatterla.
Ricomponendo come in un puzzle i diversi tasselli, Ricciardi arriva alla soluzione seppure con sofferenza e con una nuova consapevolezza, “ogni pezzo andava al suo posto, ogni componente si armonizzava con le altre per comporre un quadro finalmente plausibile sotto ogni aspetto”, mentre fuori “la pioggia stava rinforzando, l’aria odorava di autunno”.
Cosa ci riserverà l’autunno di Ricciardi?
Pioggia, pioggia battente e infinita acqua a Rivoli e a torrenti che scende dalla collina verso il mare come un fiume senza fine. Un bambino povero e disperato, un cagnolino innamorato, un meccanico, un sacrestano, un prete, un commissario ossessionato e febbricitante…..il miglior romanzo della serie di Ricciardi.
E allora, arriva presto autunno!