La nuova indagine di Enrico Radeschi
Dev’esserci un modo di uscire di qui, disse il giullare al ladro. C’è troppa confusione, non riesco ad avere un attimo di pace.
Così canta Bob Dylan che insieme alla musica classica può essere considerato la colonna sonora dell’ultimo romanzo di Paolo Roversi, Il pregiudizio della sopravvivenza.
Un giallo che va oltre il genere e che affronta mirabilmente tematiche attualissime e di grande impatto emotivo come invidie sociali e imperi costruiti sui traffici di droga internazionali, terrorismo e criminalità al femminile; e li affronta come se lo stesso romanzo fosse un grande set cinematografico dove sotto gli occhi dei lettori scorrono a una velocità e a un ritmo appassionanti location e città, vittime e carnefici, azione e corsa contro il tempo.
Chi legge, pertanto, si trova catapultato nel bel mezzo della suspense fin dalle primissime pagine. C’è una rapina condotta con freddezza e audacia da quattro donne mascherate che, armi in mano, fanno irruzione in una festa privata in casa di Alfio Perego, titolare di una concessionaria di automobili di lusso, che aveva invitato una quarantina di persone, tutte appartenenti all’alta borghesia milanese, scatenando panico e stupore.
Ma questo è solo l’aperitivo che l’autore serve ai lettori perché da bravo sceneggiatore, oltre che scrittore, Roversi fa presto a cambiare scena e azione e come nelle migliori pellicole di Antonioni si è “costretti” a seguire altre azioni e altri dialoghi e quasi a dimenticarsi da dove si era partiti con la storia. Più scene, più cammei, più piste e anche qualche intelligentissima dissolvenza incrociata che serve a chi legge per tenere sempre bene a mente il focus della trama.
A tenere le file di una storia affascinante e complicata ancora una volta lui: Enrico Radeschi. Il giornalista hacker che gli affezionati lettori di Roversi hanno imparato a conoscere e amare fin dalla sua prima avventura in La confraternita delle ossa.
Questa volta Radeschi deve indagare su qualcosa di molto personale e che lo tocca da vicino, come il rapimento e la scomparsa della sua fidanzata, Andrea, proprio qualche giorno prima della festa di san Valentino e mentre la stessa si trova a Salisburgo per partecipare a una conferenza.
Mi alzo in piedi e cammino avanti e indietro per il salone sotto lo sguardo assonnato di Rimbaud. Quando ormai ho deciso di chiamare la polizia mi arriva un messaggio di Andrea che, anziché tranquillizzarmi, mi getta nello sconforto più totale.
Per la prima volta, forse, i lettori di Roversi si trovano davanti un Radeschi più spaventato e coinvolto, ma anche più motivato, più impavido, più disposto a rischiare anche la propria sicurezza personale. Ma Radeschi è Radeschi e anche in questa nuova e pericolosissima avventura può contare sui “amici e colleghi” di sempre come il brillante vicequestore Sebastiani e il malvivente generoso detto il Danese. Tutti coprotagonisti della serie ideata da Roversi e tutti ugualmente amati dai lettori quanto il giornalista hacker.
Tutto questo basterebbe già per rendere Il pregiudizio della sopravvivenza un giallo intrigantissimo e originale, ma in realtà c’è di più, c’è la penna di Paolo che si lascia andare a una ironia e a un sarcasmo così intelligenti e giusti da rendere questo romanzo estremamente godibile in ogni sua pagina. E attenzione, usare l’ironia in un giallo non è per tutti, perché se usata male la stessa può diventare un’arma a doppio taglio. Ci vogliono i tempi giusti, i dosaggi appropriati, e anche un po’ di predisposizione personale. Tutte cose che Paolo Roversi fortunatamente possiede.
Pertanto, come dicevo all’inizio, questo romanzo a suon modo è anche un po’ un film e dato che al cinema, per ora, non ci possiamo andare regaliamoci almeno una lettura bella e intensa quanto una buona pellicola.