Il suggeritore



Donato Carrisi
Il suggeritore
Longanesi
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MilanoNera incontra Donato Carrisi.

“E’ un predatore. Seleziona accuratamente le sue vittime, cercandole generalmente in luoghi distanti da dove vive. E’ astuto, prudente. E’ capace di prevedere l’evoluzione delle indagini sul suo conto, anticipando così le mosse degli inquirenti.

Per questo è difficile catturarlo: impara dall’esperienza. Cerca sempre un contatto, fingendo determinati comportamenti o una certa affinità per capirne la fiducia. Per averne ragione preferisce le parole alla forza fisica. La sua è un’opera di seduzione”.

Un libro, Il suggeritore, il primo di Donato Carrisi, ottima promessa del panorama letterario italiano oltre che già affermato sceneggiatore. Una capacità acuta la sua, quella di accompagnare per mano il lettore in una matrioska terribile e terrificante. E scatola dopo scatola, delitto dopo delitto pare che non vi sia criminale, o meglio che chiunque possa celare in sé quella voce dell’ombra che rende ognuno colpevole. Nella semplicità e nella banalità si nasconde il male (s)velato come “la voce degli uccelli che si leva dal bosco, uccelli che scambiano la luce delle fotocellule per l’alba e reclamano il giorno”.
Una sfida da accettare se si vuole conoscere la parte oscura che ognuno nasconde in sé e ascoltare il sussurro del Diavolo nel silenzio di Dio.

Può indicarci le tappe che hanno portato alla stesura del romanzo?
Ho iniziato dalla documentazione, una documentazione approfondita oltre ad una ricerca minuziosa, si veda anche il giro di giostra cronometrato. Sono passato poi alla struttura del romanzo e dei personaggi, personaggi che vivevano già in me e non so sinceramente dove mi porteranno. Poi è venuta la scrittura vera e propria della storia, con un’attenzione particolare alla metrica e infine un lavoro di editing che è stato minimo.

Perché questo chiaro e forte riferimento ai bambini?
Mi voglio riferire al bambino che è in ognuno di noi, la paura che ricordiamo, i nostri retaggi.

Cosa rappresenta l’unità nel romanzo?
E’ un clichè, io volevo uscire dallo schema. E’ un’allegoria ma anche un mezzo per scardinare, ossia volevo attribuire un carattere diverso ad ogni mio personaggio.

L’ambientazione del romanzo è molto particolare perché?

Ho ambientato il romanzo nel Nord Europa e in America per sottolineare e uscire dal provincialismo culturale italiano, troppo teso al neorealismo, sebbene sia stato fondamentale. Non siamo riusciti a far evolvere e a far crescere questo panorama culturale. Sono però fiducioso nel vedere per esempio artisti come Roberto Saviano e il regista del film omonimo. Saviano ha inventato un linguaggio, mentre il regista ne ha inventato un altro, un linguaggio più adatto al film. Ed è stato stupefacente vederlo durante le riprese con la macchina in spalla, i registi oggi non lo fanno più.

Esiste, secondo lei, oggi una banalizzazione del male e perchè?
Perché la normalizzazione è la salvezza dell’uomo comune, è un modo per tenere i colpevoli lontani da noi, per sentirli diversi, è una sorta di complicità inconscia, il male assume la forma più semplice delle cose e nessuno accetta la semplicità del male, eppure è tutto molto semplice.

Lo scrittore di un thriller deve barare?
No assolutamente, deve essere come il prestigiatore, con la destra deve distrarre il suo pubblico e con la mano sinistra deve creare l’illusione, infatti mi hanno detto che leggendo il mio libro nessuno riesce a capire il finale pur avendo davanti gli indizi. Ecco forse sono riuscito nel mio intento.

Perché consiglierebbe di leggere il suo romanzo?
Perché mi auguro che stupisca e che riesca a regalare non meraviglia, ma emozione.

Cosa pensa della chiusura della Libreria del Giallo?
Penso che sia una maledizione, una tragedia annunciata e non ne capisco i motivi. Il giallo italiano non è stato esportato ed il giallo è fondamentale. In Italia non c’è il concetto di genere, pur essendo stati noi italiani i maestri sino agli anni Ottanta. Il pubblico si è disabituato al genere, tutto è fiction, ed è un peccato perché abbiamo ottimi scrittori, ma che in realtà sono sottovalutati. La stessa cosa è accaduta anche in ambito cinematografico.

Claudia Caramaschi

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