Incontro con Mario Cervi

A 88 anni Mario Cervi , con l’aiuto del giornalista Luigi Mascheroni, ci ha regalato la sua biografia e i ricordi legati alla guerra, alla permanenza in Grecia dove ha conosciuto la moglie che lo ha seguito in Italia, alla sua attività giornalistica iniziata nel 1945 e che continua ancora come opinionista de Il Giornale e estensore di una rubrica su Gente.   Testimone di importantissimi fatti di politica internazionale e di cronaca giudiziaria, una carriera che lo ha portato a essere direttore dello stesso quotidiano e si è intrecciata con la storia del giornalismo milanese. Durante una delle numerose presentazioni di Gli anni del piombo” (Mursia) ci ha svelato qualcuno dei suoi segreti.

La scrittura, una grande passione che continua ancora, quando è nata?
In realtà avrei potuto fare qualsiasi altro mestiere, mio padre era amico di uno stenografo del Corriere della Sera e ho trovato lavoro grazie a lui. Avevo iniziato la carriera come reporter, colui che cercava le notizie per raccontarle all’estensore. Poi estensore,  inviatino, inviato,  tutta la scala fino ad arrivare alla direzione di un quotidiano. Non avevo la vocazione, è dono di pochi. L’avevano solo Montanelli e la Fallaci, non avrebbero potuto fare altro. Mi sono trovato a svolgere la professione di giornalista, mi piace e continuo ancora a svolgerla.

Che cosa le sarebbe piaciuto fare se non fosse diventato giornalista?
La gamma era grande, non sicuramente il politico, scelta comoda economicamente ma non altrettanto dal punto di vista della dignità e indipendenza.

Quali sono le sue letture?
Da alcuni anni devo recensire un sacco di libri, saggi, biografie e testi di carattere politico. Per mancanza di tempo non riesco a leggere romanzi, solo qualche titolo di cui si parla molto, quali Il nome della rosa e Gomorra. Purtroppo non riesco a seguire la narrativa.

Quali sono i requisiti necessari per essere un buon giornalista?
Oggi stanno cambiando le gerarchie dei valori. Lamberto Sposini è più noto di Alberto Ronchey che è stato direttore de La Stampa. Chi scrive dovrebbe saper scrivere, ma per fare televisione basta la bella presenza. La cucina dei giornali copre mestieri diversi, ma fondamentali per tutti sono buona memoria, discreta cultura, capacità, simpatia, fortuna e non avere tentazioni impiegatizie di rispettare gli orari.

E un buon recensore?
Si polemizzi con i libri che interessano, trascurando quelli che non interessano.  Le racconto un aneddoto: un amico aveva mandato al Giornale un libro che non valeva pregandoci di recensirlo. Non sapendo come uscire dall’imbarazzo mi consultai con Montanelli, che disse  ”questo libro non vale niente, se ne può parlare bene!”

Nell’intervista, qual è secondo lei l’approccio migliore?
L’aggressività, bisogna fare domande che importunano, rompere, non si deve compiacere l’intervistato. La Fallaci provocava e in alcuni casi redigendo l’intervista cambiava le domande mettendone di più polemiche. Presentarsi di persona è meglio che chiedere attraverso terzi.

Qual è il segreto della sua longevità intellettuale?
Non so quanto convenga arrivare così in là con gli anni, sono in prorogatio anch’io come Andreotti! 

Ambretta Sampietro

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