Le vittime in genere nei noir sono un mezzo per dare il via ad un’indagine o sono la spinta per qualche vendetta o pretesa di giustizia. Non accade quasi mai che siano i protagonisti, a meno che non diventino a loro volta vendicatori. Nella Bambina sulla banchisa di Adélaïde Bon (ed. e/o) tutto invece ruota intorno alla morte della vittima.
Adélaïde ha nove anni quando muore. Perde sé stessa e non si ritroverà mai più, quanto meno non com’era. Non come avrebbe potuto essere. La seguiamo da quando su quel pianerottolo quell’uomo le ruba ogni certezza e la sua infanzia. Ma si impossessa di molto di più con quella violenza. Le sottrae affetti, parole e gesti, la allontana da chi la ama, le instilla insicurezze e la voglia di morire. Quella persona con le sue azioni le ha tolto l’esistenza.
Seguiamo Adélaïde nel suo faticoso percorso di ricostruzione, di presa di coscienza e di tentativi di riemergere. Non sa neanche lei bene da cosa debba uscire. Per molto tempo non associa a quell’episodio la nascita dei suoi problemi. Lei aveva solo nove anni, non ricorda neanche bene cosa sia successo e poi non crede che i suoi disagi alimentari, la sua instabilità emotiva, il suo non accettarsi abbia qualche legame con le mani di quell’uomo che l’hanno invasa.
C’è una delicatezza infinita nelle parole scelte per raccontare qualcosa di così sporco e rivoltante. Così sottovalutato. Adélaïde Bon ha scritto di ciò che ha significato per lei quella violenza, del percorso che ha dovuto percorrere per capire quanto abbia influenzato la sua vita e cosa le abbia portato via. Il suo primo romanzo mette a nudo le violente crisi di panico, lo sconforto di non riuscire/poter far capire cosa le accadeva dentro.
La bambina sulla banchisa non è un romanzo semplice, non è un’indagine classica, ma mostra quello che di solito ci è nascosto. Mostra tutto ciò che rimane nelle menti e sui corpi delle vittime. Mostra il lento e continuo tentativo per guarire, o meglio per ritrovare una pace. Perché guarire del tutto è impossibile. Resta sempre quella domanda nella testa, perché? La mente di Adélaïde è inchiodata lì, vuole capire e vuole riacquistare consistenza. Vuole riappropriarsi della sua esistenza nel confronto con ciò che le è successo.
Quando le arriva la chiamata della polizia, 20 anni dopo quel giorno di maggio, lei inizia un nuovo percorso. Innanzitutto deve imparare a chiamare con il nome corretto quello che le è successo. È stata stuprata, non è stata solo aggredita. Quel giorno è stata stuprata. E scoprirà di non essere sola.
La sfumatura di noir di La bambina sulla banchisa è quella più buia e oscura a cui riuscite a pensare. Mostra tutte le ferite, le cicatrici lasciate su un corpo morto e l’agonia della resurrezione.
La bambina sulla banchisa
Eleonora Aragona