Le mie storie, due chiacchiere con Leonardo Gori.

Intervista a Leonardo Gori per “festeggiare” la quarta ristampa il suo “Il ritorno del colonnello Arcieri”, un indubbio successo che ha segnato, di nome e di fatto il ritorno in scena di Arcieri e in prossimità dell’uscita del suo nuovo romanzo, con sempre Arcieri al timone, che si chiamerà: “La nave dei vinti”.  

56171736_2180443682002499_8956548138483580928_n (1)Una fama meritata e duratura, insomma uno zoccolo duro che ha radicato il tuo personaggio, rendendolo parte del nostro immaginario. Un personaggio forte, servitore dello stato sia nel bene che nel male, se necessario, ma senza mai dimenticare l’ONORE,  scritto le lettere maiuscole…
Detta così, Bruno Arcieri sembra un militarista convinto e un po’ ottuso! Invece è un uomo pieno di dubbi. Di storia in storia, cambia idea, si mette in discussione, riesce perfino a dialogare con i giovani del ’68… Ma di questo, se vuoi, parliamo dopo.
Ecco, appunto. Allora saliamo sulla macchina del tempo per tornare alle origini. Come, quando e perché è nato il personaggio Bruno Arcieri?
Arcieri è nato nel 2000, quando ho scritto e pubblicato la prima versione di “Nero di maggio”, tornato da poco in libreria per TEA. La storia è ambientata nel maggio del 1938, quando Hitler venne in visita a Firenze e fu accolto come un principe rinascimentale. Avevo bisogno di un personaggio che potesse “dialogare” efficacemente con il Gerarca Senza Nome, intorno a cui ruota la vicenda… Scrissi una prima versione senza Arcieri, poi decisi che il Gerarca doveva avere una specie di “doppio”, con cui confrontarsi. Un’immagine speculare, opposta ma con alcuni tratti in comune. E così nacque Arcieri: appassionato della cultura anglosassone, di moralità rigorosa e antifascista nell’animo (senza saperlo ancora). All’inizio, non sapevo molto di lui: mi ha raccontato la sua vita romanzo dopo romanzo. Poi, dopo varie storie lunghe e qualche racconto, il tutto ambientato negli anni Trenta e Quaranta, gli ho fatto fare un balzo alla metà degli anni Sessanta, immergendolo (è il caso di dirlo) nella Firenze alluvionata del novembre 1966.

Quanto è stato importante, prima e dopo, il periodo storico che avevi scelto per la nascita di Bruno Arcieri?
È stato ed è sempre fondamentale. La Storia, nei miei romanzi, non è mai solo uno sfondo più o meno suggestivo, ma un personaggio a tutti gli effetti, come lo sono le città (Firenze, soprattutto) in cui si muove Arcieri. Ma nonostante il mio amore per il passato, che d’altronde condiziona il nostro presente, quel che contano davvero sono i personaggi: le loro emozioni, i cambiamenti a cui vanno incontro. Le loro storie, con la “s” minuscola.

Un protagonista che abbiamo conosciuto nel 1938, a Firenze,  in “Nero di Maggio”. Poi andato a Parigi, sempre nel 1938, con  “La finale”, un intrigo spionistico internazionale. Nel 1944 era  a Firenze, nei giorni terribili del passaggio del fronte “Il passaggio”. Dopo altre due romanzi di guerra  scritti con Franco Cardini (“Lo Specchio Nero” e “Il Fiore d’Oro”, “L’angelo del fango” con la spaventosa alluvione fiorentina del 66 e  subito dopo il suo versiliano “Musica Nera” . Poi dopo un drammatico e spaventoso finale, Franco Bordelli in “Fantasmi del passato di Vichi” l’ha incrociato a Firenze  nel 1967 trasformato in un clochard  e in fuga dai sicari dei suoi nemici. E infine Parigi.                                                                                                                         Perché Arcieri è stato costretto a fuggire dall’Italia e nascondersi a Parigi?
Perché, alla fine di “Musica nera”, il romanzo ambientato in Versilia nel 1967, i biechi personaggi che avevano deciso di fargli la pelle, manomettendo la sua automobile, scoprono che è rimasto vivo per miracolo e intendono portare a termine il lavoro, con ogni mezzo. Come hai detto tu, lo incontriamo di nuovo proprio nel romanzo di Marco Vichi, scritto con il mio contributo. Arcieri si mimetizza tra gli ultimi della terra, i clochard, perché ritiene che sia l’unica piega del mondo in cui possa diventare invisibile. Franco Bordelli lo nasconde a casa sua, ma il buon commissario viene a sapere che il suo amico è stato comunque localizzato e allora lo affida al Botta, che con la sua Alfa fiammante lo porta, nottetempo… Dove? I lettori di Vichi non lo sanno, i miei invece sì. Fatto sta che lo ritroviamo sotto falso nome a Parigi, nel giorni della rivoluzione del ’68. E qui siamo  appunto all’inizio de “Il ritorno del colonnello Arcieri”, in cui tutto il meccanismo è raccontato nei particolari…

Cosa in particolare secondo invece te ha decretato il meritato successo di questo libro con un protagonista che nel 1968 non è più un ragazzino?
Non sta a me dirlo. Ma da primo lettore delle mie storie, posso dirti che mi ha profondamente stupito la naturalezza con cui Arcieri, ormai in pensione, invece di giudicare senza appello i nuovi giovani, come faceva la stragrande maggioranza dei suoi coetanei, cerca di capirli. Probabilmente perché è diventato un “diverso” anche lui, un emarginato. È un ’68 forse non di maniera, non visto e rivisto, ma fresco e con una luce originale.

Quando la presenza di Arcieri a Parigi comincia a scottare il suoi protettori francesi vorrebbero spedirlo in Spagna, ma lui è stufo di fuggire, e li mette di fronte a un aut aut. Ne ha abbastanza, deve fare i conti con un passato non risolto, faccia a faccia con i suoi nemici. E allora, pur  controvoglia, accettano di rimandarlo a Firenze, sotto falso nome, in una comune sui colli di disinibiti psuedo figli dei fiori. Quanto saranno di aiuto e di spinta per Arcieri queste persone, giovani e meno, insomma i membri della comune, sia moralmente che materialmente?
Questi nuovi giovani, che non sono del tutto buoni né del tutto cattivi, come ha da essere, incidono profondamente nell’umanità di Arcieri. Il pericolo, lo stress, la paura, fanno il resto e il mio personaggio cambia radicalmente il suo sguardo sul mondo, fino a rinnegare il proprio passato. Dal “Ritorno del colonnello Arcieri” prende il via una piccola “trilogia anni Sessanta”, che esplora, dal mio punto di vista, un periodo breve ma tra i più travolgenti della storia mondiale. Nel bene e nel male: c’è il ’68, appunto, Woodstock, la Luna, ma anche la strage di Bel Air, Piazza Fontana…

Quanto sarà utile e liberatoria la conoscenza e l’amicizia con il maresciallo Guerra nel dargli una spinta a ritrovare la giusta strada?
Guerra è un alter ego… radicale di Arcieri. Come altri, è un personaggio-specchio che gli restituisce una parte della sua personalità, con cui è costretto a fare i conti. Guerra è una scheggia impazzita di verità, parziale quanto si vuole, che colpisce al cuore il Colonnello.

Hai riportato in scena  in “Il ritorno del colonnello Arcieri” il tuo personaggio più complesso e amato, un servitore dello Stato critico, forte ma profondamente leale; che dello Stato ha condiviso oscurità, tragedie e grandezze e, ZAC  quasi con un colpo di bacchetta magica, hai riunito nello stesso romanzo e le donne più importanti della sua vita. Perché l’hai fatto? E vorresti parlarci di loro?
Le donne sono la chiave di volta della vita di Arcieri. Rappresentano il suo mondo interiore, il sogno e il desiderio, il mito e la quotidianità. Ognuna di loro è una faccia di questo universo: Elena Contini rappresenta l’ideale, Nanette il mondo delle ombre profumate, Marie la realtà. In un romanzo riassuntivo della vita del personaggio, non potevo fare a meno di chiamare a raccolta queste tre donne e varie altre, in un’atmosfera che un po’ ho rubato a “Otto e 1/2” di Federico Fellini…

Sappiamo che tra poco troveremo in libreria il tuo nuovo “Arcieri”: La nave dei vinti. Vuoi e puoi anticiparci qualcosa della trama?
“La Nave di Vinti” è un libro a cui tengo molto, sia per la storia in sé – è il mio tentativo di scrivere un romanzo-romanzo, ovviamente sempre noir, ma senza troppi legami con il “genere” – sia perché segna una discontinuità con il ciclo precedente, conclusosi (per il momento), con “L’Ultima scelta”, ambientato nel 1970. “La nave di Vinti”, infatti, si svolge Genova e Firenze nella primavera del 1939: ritroviamo quindi il giovane capitano Bruno Arcieri, ancora legato alla sua rigorosa visione del mondo, ma già sulla via giusta per mettere in discussione sé stesso e le sue convinzioni. Ciò mentre è alle prese con un mistero che ha al centro i prodromi della Seconda Guerra Mondiale, di cui quest’anno cade l’ottantesimo anniversario.
“La nave dei vinti” è una specie di “romanzo di formazione”, ma con una robusta trama noir, densa di colpi di scena e anche di azione, insomma tutti gli ingredienti che hanno fatto apprezzare ai lettori le storie di Arcieri. Incontriamo Nanette giovane e splendida, tanto per dire… E Daniele, ancora un ragazzo, ai suoi esordi di spia improbabile… Il tutto è raccontato a Marie, in una gelida notte fiorentina del 1970, da un Arcieri ultrasessantenne, con rapidi capitoli che fanno da contrappunto alla narrazione tradizionale.

Grazie Leonardo per le tue risposte e appuntamento a presto con “La nave dei vinti”, Tea Libri.
MilanoNera ringrazia Leonardo Gori per la disponibilità

 

Patrizia Debicke

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