La regola del lupo



Franco Vanni
La regola del lupo
Baldini+Castoldi
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Costruito come un giallo classico alla Conan Doyle o alla Christie -un uomo viene trovato morto, riverso sul tender della sua barca a vela ormeggiata nelle acque del lago di Como; a bordo con lui soltanto i suoi tre migliori amici: due uomini e una donna- l’ultimo romanzo di Franco Vanni è in realtà qualche cosa di più di un delitto della camera chiusa. Un po’ Montanari, un po’ Guccini & Macchiavelli, “La regola del lupo” (Baldini+Castoldi), è in primo luogo un romanzo scritto e costruito bene. Originale, a suo modo. L’autore è cronista, soprattutto di giudiziaria, di “Repubblica”, rispetta le regole del genere, mettendo in campo la propria esperienza professionale (si occupa di indagini reali, tanto per capirci). Qui a indagare sono, in parallelo, Steno Molteni, 27enne giornalista del settimanale di nera “La Notte” e Salvatore Cinà, detto “il Lupo”, maresciallo dei carabinieri prossimo alla pensione. Chi ha sparato e perché? Vanni forse ha visto “Broadchurch”, serie tv britannica, di certo ha evitato il registro macabro e truculento. C’è un morto ammazzato, sì, ma nel romanzo compare soltanto il minimo di violenza indispensabile. L’incedere della narrazione è lento, ma non per questo noioso. E’ un romanzo piacevole e non superficiale, così come il precedente (“Il caso Kellan”, sempre di B+C). Originale, si diceva. Molteni, per dare l’idea, vive a Milano nella stanza 301 dell’albergo Villa Garibaldi, dove la sera lavora come barista. E guida una vecchia Maserati. Unica pecca: ho trovato il finale non all’altezza delle quasi 300 pagine che lo hanno preceduto (mezzo voto in meno per questo motivo). Se fosse una canzone “La regola del lupo” suonerebbe come “L’impossibile” di Fil Bo Riva. Voto: 7 e mezzo.

Alessandro Garavaldi

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