Massimo Citi si definisce un libraio eversivo, uno di quelli che piacciono ai piccoli editori e agli autori underground, uno che ama cercare e consigliare, che non si limita a esporre pile di best-seller all’ingresso del negozio. Massimo Citi manda avanti con passione anche una bella rivista di segnalazioni librarie come Libri Nuovi ed è uno degli animatori del progetto ALIA sulla narrativa fantastica.
In controtempo è il suo primo libro, una raccolta di otto racconti scritti dal 1993 al 1995, che seguono la lezione dei migliori Landolfi e Calvino, strada poco battuta dagli autori italiani impegnati a raccontare la circonferenza del loro ombelico. La narrativa fantastica è un genere poco considerato, spesso viene etichettata come letteratura di serie B (la definizione fa sorridere), così come il cinema fantastico non è reputato degno di attenzione dalla critica che conta. Nella nostra letteratura, invece, il racconto gotico, l’horror soprannaturale, le leggende di vampiri, streghe, maledizioni e antiche credenze hanno un posto di tutto rispetto, pure se limitato alla narrativa popolare.
Autori importanti che si sono occupati di trame fantastiche sono davvero pochi. A parte Landolfi e Calvino, restano solo gli scrittori pulp degli anni Settanta (I racconti di Dracula, Le storie della cripta), il cinema fantastico di Bava, Margheriti, Ferroni, Fulci e altre storie interessanti, ma sempre poco letterarie. Massimo Citi prova a unire i due aspetti della narrativa fantastica e senza indugiare sugli aspetti spettacolari delle vicende, senza farsi prendere la mano da atmosfere splatter o gore, realizza racconti che seminano inquietudine e angoscia ispirandosi alle costruzioni del vecchio racconto gotico. Le storie di Citi sono fatte di suggestioni, l’orrore e il mistero vengono soltanto suggeriti e lo stile è molto alto, letterario. Basta leggere qualche passo: “La luce penetra come un assediante, entra dalle serrande crollate obliquamente o dai pertugi lasciati tra le assi inchiodate, filtra sotto le porte sbarrate, ma è una luce grigia, senza colore”. Oppure: “La finestra al secondo piano è inchiodata, alcune assi lasciano passare pochi fili di luce che si allargano a fotografare il moto della polvere”. L’autore possiede uno stile proprio, molto descrittivo e denso di contenuti, elaborato con anni di letture importanti e allenamento quotidiano. Non è uno stile da best-seller, per fortuna, niente a che vedere con i thriller della Piemme, ma è uno stile fondato su un uso colto della lingua italiana. Di questi tempi non mi pare poco.