La Venere di Salò – Ben Pastor



Ben Pastor
La Venere di Salò
Sellerio
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Ultima indagine, quanto a ordine cronologico degli avvenimenti narrati, tra le tante che l’autrice italo-americana Ben Pastor ha fin qui dedicato al colonnello tedesco Martin Heinz Douglas von Bora: La Venere di Salò, uscita a novembre 2022 per i tipi di Sellerio, si presenta in una versione interamente riveduta rispetto a quella del 2006. 

Un poliziesco storico, diciamolo subito, di particolare intensità e raffinatezza che nel primo autunno del 1944 conduce sulle sponde del Garda l’aristocratico ufficiale della Wehrmacht, collaboratore talora dei servizi segreti tedeschi (Abwehr). Lo guida, in particolare, sulla sponda occidentale del lago dove «il tubo di scarico della guerra portava tutti nello stesso luogo», cuore nevralgico della Repubblica Sociale Italiana (RSI) e ganglio vitale delle SS e della Gestapo. 

Si respira aria di sconfitta su quelle rive, dove la tensione tra le autorità italiane e gli alleati tedeschi diviene ogni giorno più palpabile, la catena di comando s’inceppa sovente in un caos di responsabilità, i disagi della popolazione favoriscono il proliferare di atti criminali. Un lungolago, in apparenza assopito, che si rivela invece “un occhio nella bufera della guerra, capace di generare intrighi come una pozza piena di girini!».

Von Bora, prelevato senza riguardi da agenti della Gestapo sull’Appennino emiliano dove con eroismo ma scarse speranze sta combattendo contro le forze alleate, viene catapultato nel pieno di quel ginepraio, a Salò, cuore dell’RSI, con un singolare incarico: ritrovare un sensuale dipinto del Tiziano, la Venere di Salò, rubato a un milionario italiano coinvolto in traffici di guerra con le autorità locali, ma anche con i tedeschi.  Una missione difficile per l’eroico colonnello che senza dubbio avrebbe preferito restare alla testa del suo reggimento, complicato da una lunga lista di indiziati, non ultimi eventuali emissari del maresciallo Goering, numero due del regime nazista e bulimico razziatore di opere d’arte.

Mentre von Bora cade vittima della fascinazione sprigionata dalla caccia alla Venere, l’incarico si aggrava per il reclutamento del colonnello in una pericolosa azione contro la più feroce delle brigate partigiane e per il possibile coinvolgimento del proprietario del dipinto negli apparenti suicidi di alcune donne italiane. 

Il successivo incontro con l’antiquario ebreo Conforti, che ha scoperto la Venere, e con l’enigmatica e seducente figlia del milionario finirà per complicare fatalmente la sua missione, trascinandolo in una spirale di sortilegio e ossessione.

Martin von Bora, al centro dell’epopea che da anni e con squisita maestria Ben Pastor va disegnando sullo sfondo delle vicende belliche europee, a ridosso e durante il secondo conflitto mondiale, è personaggio che di romanzo in romanzo acquista un rilievo sempre più plastico e accenti di più drammatico chiaroscuro.  

Ispirato alla figura reale del colonnello Claus von Stauffenberg, attentatore di Hitler, Martin è un soldato fin nelle ossa, per il quale «quando è al fronte, la vita è vera», di più è un valoroso ufficiale della Wehrmacht e dell’Abwehr. Abbiamo imparato a conoscerlo nei tredici romanzi che Ben Pastor gli ha fin qui dedicato, dalla guerra civile spagnola agli ultimi mesi della Repubblica Sociale Italiana, e abbiamo respirato il suo lacerante conflitto tra amor di patria e amore di Dio. 

Da buon cattolico e uomo di cultura, Martin non può restare indifferente alle atrocità naziste, ai metodi brutali delle SS e della Gestapo che tormentano il suo animo sensibile e raffinato, e dunque «lotta con i denti per non perdersi, per non venire distrutto dagli orrori che vede perpetrarsi davanti ai suoi occhi». Come lui, lo sappiamo, molti giovani ufficiali dell’Abwehr che, non potendo restare ciechi davanti a quegli abomini, finiscono per simulare «una lealtà di facciata e intrattenere segretamente strani e a volte inconfessabili contatti dentro e fuori l’esercito, in un gioco d’azzardo» che mette a repentaglio la loro stessa vita. 

Così ne La Venere di Salò, al consueto dilemma morale di Martin si aggiunge un senso di fine ineluttabile, fine di un mondo, di un’era politica e sociale, ma anche della vita. E non solo perché Remedios, l’amata bruja (strega) de La morte, il Diavolo e Martin Bora, gliel’ha predetta allo scadere dei suoi trentuno anni – Martin sta per compierli e sente infatti di «aver divorato la distanza tra sé e la morte» -, ma perché su quel lago la Falciatrice pare alitargli accanto, suggerendo «la fine di uomini e cose». 

Neppure l’amore è per lui un valido antidoto, non certo quello per la moglie Benedikta, che lo ha lasciato dopo aver abortito volontariamente suo figlio. O quello per Remedios, che rimarrà però, lui ne è certo, il suo ultimo pensiero prima di lasciare la vita. E, adesso, neppure quello per Annie, la figlia del milionario, così simile a lui per le mille lacerazioni che le straziano l’anima. 

Per Martin l’amore vero in terra non può esistere perché appartiene al mondo delle idee, è l’Idea dell’Amore a tenerlo legato, non certo le sue successive incarnazioni perché «tutte, inclusa Dikta, sono sostitute di quella passione astratta che sola non lo deluderà mai, né lo tradirà o lascerà».

Forse solo la Venere di Tiziano, «sconosciuta, mai vista, può essere un balsamo gentile sul resto, la preoccupazione più amabile per la notte», così carnale, ammiccante, così squisitamente femminile. «Ogni sua curva come un liquido cangiante» che gli divora l’anima, ad affermare che nessun amore terreno potrà eguagliare quel suo richiamo primigenio ed eterno, capace a un tempo di concedere e di negare. E la caccia di Martin von Bora al suo ritratto, pressante e disperata, finisce per identificarsi con la vana ricerca dell’amore ideale, ultraterreno e universale.

Senza nulla togliere ai migliori requisiti del poliziesco storico, ne La Venere di Salò Ben Pastor ci consegna ancora una volta un’opera di pregevole valore letterario: per sfaccettatura del protagonista e risalto dei comprimari, ricostruzione documentale, resa scenica, finezza lessicale. 

Un cenno particolare, a proposito di ambientazione, lo merita la bottega dell’ebreo Conforti, un antro alchemico dal profumo speziato, un gioco di ambigui riflessi tra specchi caliginosi, stanze sfiorite ma cariche di oggetti rari.

E come tacere di quel cielo sulla riva occidentale del Garda, quel cielo lombardo non più bello e sereno come in manzoniana memoria, che diviene invece sinistro simulacro di guerra, «un cielo maculato, i cui sprazzi di azzurro, simili a pozzi lucenti fra il grigio delle nuvole, sono profondamente solcati da formazioni di bombardieri come composite punte di freccia». E il lago tutto sembra adeguarsi a quelle tristi ore in armi: il vento sibila tra le vie, teso da «mozzare gli angoli delle case»; gli alberi distrutti dalle granate galleggiano ai lati delle rive; colline cupe si specchiano nell’acqua; un’umidità «dalla nebbia alla pioggia» avvolge tutto in un presagio di sconfitta.

Un poliziesco magistrale, una riuscita prova letteraria. Da non lasciarsi sfuggire!

L’autrice

BEN PASTOR, nata a Roma e registrata all’anagrafe italiana come Maria Serena Verbena, al termine degli studi si è trasferita negli Stati Uniti e ha acquisito la cittadinanza americana senza rinunciare a quella italiana. Ha insegnato Scienze Sociali in alcune prestigiose università americane (Illinois, Ohio, Vermont). Ha scritto narrativa di generi diversi con particolare impegno nel poliziesco storico. Della serie di Martin Bora Sellerio ha pubblicato Il Signore delle cento ossa (2011), Lumen (2012, 2022), Il cielo di stagno (2013), Luna bugiarda (2013), La strada per Itaca (2014), Kaputt Mundi (2015), I piccoli fuochi (2016), Il morto in piazza (2017), La notte delle stelle cadenti (2018), La canzone del cavaliere (2019), La sinagoga degli zingari (2021) e La Venere di Salò (2022). L’autrice è stata insignita del premio Flaiano nel 2018.

Giusy Giulianini

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