Abbiamo il dovere di non essere pessimisti. Intervista a Giancarlo De Cataldo – Quasi per caso.

Grazie al Noir In Festival, abbiamo avuto la gradita opportunità di intervistare Giancarlo De Cataldo, intervenuto a presentare il suo ultimo libro,  Quasi per caso, Mondadori

51E8J2d7y6L._SX367_BO1,204,203,200_Quasi per caso è un romanzo giallo/storico ambientato nel Risorgimento Italiano. Il Caso contenuto nel titolo può riferirsi al procedere della Storia, quella con la S maiuscola?

Sì, ci ho pensato. Il riferimento al romanzo è innegabile poiché alcuni elementi che rientrano nel filone principali dell’inchiesta di cui si occupa Emiliano Mercalli di Saint – Just lo sono, però nella storia – quella con la s maiuscola – gioca sempre una componente di casualità. Questo è assolutamente innegabile, specialmente se facciamo riferimento alle vicende della grande stagione che è stato il Risorgimento. Periodo storico di cui sono profondamente innamorato.

Quanto è attuale oggi il Risorgimento Italiano?
Sono sempre stato convinto che siamo figli di quella stagione, nel bene e nel male. Le due Italie che si fronteggiavano allora, l’Italia virtuosa protagonista delle vicende culturali del mondo, proiettata verso l’accoglienza, faro di cultura e di civiltà, la stessa che sognava Mazzini e quell’altra Italia che sempre lo stesso Mazzini definiva come gretta, avida e assassina. Queste sono le due Italia che si fronteggiavano e nel confronto a volte prevaleva l’una, a volte l’altra. Da questo punto di vista, la Resistenza e il Risorgimento sono le più grandi e luminose stagioni in cui l’Italia migliore ha prevalso sull’altra. In altri periodi, per esempio durante il Fascismo, prevalse l’Italia peggiore. In altri momenti c’è stata una soluzione di compromesso tra queste due Italia.
La necessità che avverto di studiare il Risorgimento, e di averlo sempre presente, è soprattutto dovuta alla volontà di scrostarlo dalla retorica nella quale è stato imprigionato in tutti questi anni per avere la possibilità di riflettere sulla nostra identità, come noi siamo diventati, e per non dimenticare quali sono state le nostre origini.
Negli ultimi anni, negli appuntamenti alla prima della Scala di Milano, c’è stato un forte richiamo all’arte di quel periodo, un patriottismo costituzionale.
In fondo, fu una stagione di liberazione da un lato e di nazionalismo, perché l’obiettivo era quello della conquista dell’Italia unita. Un’età storica di grande slancio e progresso nelle scienze, nella borghesia che si riaffermava, nelle donne che erano insofferenti al ruolo minoritario a loro attribuito. Insomma, un grande movimento non soltanto militare e ideale ma anche politico, economico e sociale.

20191207_190755Roma ieri, oggi e domani. Cosa è cambiato nella città eterna e per il futuro sei ottimista o pessimista?
C’è una costante, una continuità nell’essere romani che coincide con la consapevolezza di essere cittadini dell’unica città italiana che si può fregiare di capitale del mondo.
Il mondo a un certo punto è stato vassallo di Roma.
Roma ha avuto un impero e tutte le città, o tutti gli imperi, una volta decaduti vivono del riflesso della loro età dell’oro e un po’ soffrono della perdita della loro grandezza.
Il fatto di avere un passato alle spalle che difficilmente si ripresenterà in termini così gloriosi, instilla in chi vive a Roma una sana ironia – o sano scetticismo – nei confronti del potere e questa è una grande ancora di salvezza del romano.
Si è visto passare tanto nella nostra città. Papi, Duci, Imperatori, ci furono saccheggi e quindi il romano la prende con molto distacco. Un atteggiamento che, quando è necessario essere attivi, è un limite in cui si avverte un calo di tensione, soprattutto un calo di passione.
Nelle sue stagioni migliori Roma riesce a contemperare la sua ironia, il suo distacco – e anche il suo cinismo – con la solidarietà, con la passione e la partecipazione.
Oggi Roma paga un’arretratezza economica e anche per certi versi sociale, più che culturale, rispetto ad altre città d’Italia; ad esempio a Milano sono più avanti sotto questo punto di vista.
Però devo dire una cosa. Nel corso dei secoli si sono schiantate su Roma molte profezie di distruzioni, di catastrofi che si sono sempre dimostrate fallaci. Roma alla fine si è sempre ripresa, anche nei momenti di peggior crisi, e così riaccadrà anche questa volta.
Per il futuro sono ottimista, perché il pessimismo confina con la depressione, quindi con la paralisi e dunque, in definitiva, con il rigor mortis. Noi abbiamo il dovere di non essere pessimisti o, se vogliamo richiamare la formula gramsciana, abbiamo il dovere di avere il pessimismo della ragione ma di accompagnarlo con un grande ottimismo della volontà.

Il Maggiore Emiliano Mercalli di Saint – Just oggi sarebbe un uomo fuori dal tempo, oppure il presente ha bisogno di uomini come lui?
La seconda che hai detto e in parte anche la prima. Quando persegui la verità e la giustizia- questo è caso di Emiliano – devi avere la mente aperta, ricorrere a mezzi e metodi avanzati, perché lui deve convivere con la scienza incalzante, comprenderla e a un certo punto accettarla, e riuscire a superare la rigida mentalità militare in cui si è formato.
Quando si è predisposti a fare questo, ci si dovrà scontrare con il pregiudizio e l’oscurantismo. Avevo intitolato il primo romanzo di Emiliano Nella luce e nelle tenebre, perché la lotta è sempre quella, una questione di lotta tra luce e tenebre come dice Matthew McConaughey nella prima serie di True detective.

Penso a Romanzo Criminale, Suburra e ad altri titoli. Perché alcuni uomini sono così attratti dal potere?
Tutti gli uomini sono attratti dal potere e, in buona misura, lo sono anche le donne che cominciano a rivendicare giustamente la loro quota. Nel potere c’è qualcosa di profondamente perverso, in sé ha una forma di anarchia che è quasi una applicazione alle scienze umane del terzo principio della termodinamica; contiene un’entropia che necessita di introdurre quote di distruzione per potersi rigenerare. Un po’ una teoria del caos, se vogliamo un movimento continuo di molecole.
Il potere deve essere temporaneo per potere essere controllato, per evitare che degeneri e possibilmente va affrontato con grande ironia.

Esiste un antidoto contro la fascinazione del potere?
Contro la fascinazione no. Esistono degli strumenti positivi che l’uomo ha inventato e elaborato, attraverso una seria riflessione culturale, attraverso lotte e sacrifici, che hanno comportato martirii, sangue, stragi e olocausti per riuscire a controllare, contenere e limitare e ricondurre alla ragione – o per lo meno convivere – con questo Moloch che tende alla distruzione e all’abisso.
La nostra è una fase in cui siamo alle prese con una nuova strutturazione del potere che passa attraverso la rivoluzione elettronica, informatica la rivoluzione dei flussi finanziari, il post fordismo e tutto l’occidente sta elaborando nuovi modi di porsi di fronte a queste sfide. Siamo in un’era di passaggio e, come tutte le ere di questo tipo, è un’era turbolenta. Noi dobbiamo essere vigili e critici, per impedire agli aspetti negativi di prendere il sopravento.

Immagina la scena: tu a un tavolo di un bar con Il Libanese, il Freddo e il Dandi. Di cosa parlate, cosa succede?
Non abbiamo molto da dirci, nel senso che apparteniamo a due mondi diversi.
Per risponderti, posso dirti che una volta ho progettato una messa in scena. A Roma, durante la lettura di un racconto, con gli stessi personaggi di Romanzo Criminale, avevo chiesto di intervenire a Francesco Montanari, l’attore che ha interpretato Il Libanese nella serie tv. Lui ha accettato ed è entrato a far parte dello scherzo. Si è presentato con una pistola di scena e, interpretando il Libanese, mi ha minacciato. Mi ha chiesto come mi ero permesso di raccontarli, proprio io che faccio altro nella vita e che, addirittura, non sono nemmeno romano.
Inoltre, mi chiedeva dove avevo trovato l’improntitudine di mettermi al loro posto e poi no, non gli era piaciuto il finale perché lo avevo fatto morire troppo presto.
Sulla morte prematura gli ho dato ragione, ma per tutto il resto penso che non potremmo stare seduti alla stessa tavola tutti assieme.

Paul Gauguin sosteneva che l’arte o è plagio o è rivoluzione. Tu cosa ne pensi?
L’arte è tutte e due le cose. Non si può crescere e prosperare se non ci si mette sulle spalle dei giganti che ci hanno preceduto ma, se non li si tradisce almeno un po’ al momento opportuno, non si fa un progresso. Si deve tendere a fare qualcosa di diverso, che può anche significare recuperare la tradizione ma modificandola, cambiandola, magari pervertendola ma sempre conoscendola.
Perché se non la si conosce, non si va da nessuna parte.

Tu hai avuto la possibilità di vedere le tue opere diventare film e serie tv, ma c’è qualcosa che vorresti ottenere dalla tua scrittura ma che ancora non hai ottenuto?
Mi piacerebbe scrivere un grande romanzo italiano, non necessariamente accompagnato da elementi criminali, ma credo che non mi verrebbe bene… perché gli elementi criminali sono fondamentali nella storia italiana.

MilanoNera ringrazia Giancarlo De Cataldo e il Noir In Festival per la disponibilità

Mirko Giacchetti

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