L’Iliade cantata dalle dee – Marilù Oliva



Marilù Oliva
L’Iliade cantata dalle dee
Solferino
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L’Iliade, o prima grande  guerra del Mediterraneo, sarebbe stata quindi  l’epica narrazione della prima guerra mondiale come sostiene Valerio Massimo Manfredi? Un esemplare modello per tutte le guerre a venire?
Nei suoi armonici ma a tratti  angosciosi  versi ci sono il conflitto, l’ira, l’eroismo, il dolore, il rancore, l’amore, il sangue, le armi, la paura, la sofferenza dei padri, dei figli e, soprattutto, il nero velo che non riesce mai a celare completamente il calare della falce della morte. La morte temuta, ma anche spesso un’eroica morte cercata. E tuttavia.  nei suoi versi, tra le sue tante pagine compaiono e si fanno largo energiche e sicure anche  le madri, le figlie, le sorelle, le spose dei guerrieri e, ultime ma non ultime,  le loro povere e bistrattate  prede umane, quelle giovani fanciulle condannate alla schiavitù. Ma il problema è che nell’Iliade dominano con prepotenza le presenze maschili lasciando le donne da parte. E allora bisogna servirsi delle dee, con piena libertà d’azione, libere di fare, muoversi pronte a entrare in campo, a darsi da fare, a battersi, a patteggiare, libere di riuscire a vincere.
E, quindi, l’Iliade può anche trasformarsi e  diventare una storia diversa, molto diversa da riscrivere senza scordare, come si fa spesso, che ogni e qualunque storia è stata scritta e intessuta  dal genere umano e dunque sempre da uomini ma anche da donne.
E magari narrata stavolta financo da dee o figlie di dei come ha voluto fare Marilù Oliva non nuova a queste felici esperienze  che, con colte e raffinate interpretazioni storiche, si dimostra accorta e finissima esperta in materia.
Chi sta infatti duellando ferocemente sotto le mura di Troia? Gli eroi, ma anche gli dei e, senza nascondersi, anzi rabbiose pugnaci, le dee. Eh già perché a ben vedere, questa terribile guerra  è stata provocata  da tre di loro:  Era, moglie di Zeus, signora  dell’Olimpo, la battagliera Pallade Athena e la levigata, splendida e intrigante  Afrodite. Provocata  dalla famosa mela d’oro lanciata da Eris, dea della discordia, assegnata da Paride ad Afrodite, che ha vinto la gara offrendogli Elena.
E quindi un’Iliade vista da occhi femminili. Ma quali intrighi, nere tempeste si nascondono dietro quegli occhi ottenebrati dall’ira dalla passione e troppo spesso dall’omicida e fatale voluttà di colpire, ferire e magari uccidere.  
Senza contare sentimenti, incontenibili impulsi di umane segnate dal divino, come Elena figlia di Zeus e Cassandra, che si è sottratta alla passione di Apollo e ne è stata punita, con il dono del vaticinio, attraverso le sue rivelazioni si sa tutto del passato e di ciò che avverrà in futuro,  ma con la condanna di non essere mai creduta dagli umani, eccetto che dalla bella tra le belle, la splendida e fedifraga moglie di Menelao voluta da Paride. L’unica che sa ascoltare e intuisce qualcosa…
È sarà dunque Atena a parlarci dell’ira di Achille, mentre sarà  Teti, la splendida ninfa madre dell’eroe, a esporre il perché dell’orgoglio ferito e del pugnace  scontro di suo figlio con l’irascibile e pericoloso Agamennone,  a descriverci le sue incontenibili scelte, legate alle  sue  passioni e testardaggini che tanto sangue e dolore porteranno nei  due eserciti.
L’Iliade è un poema al maschile, dove tutto pareva nascere da una questione per donne, e che invece in cui il furibondo scontro tra due condottieri, per primeggiare e imporsi diventerà solo la fatale goccia pronta a far traboccare il vaso. Un vaso crudele e pericoloso perché diverrà incontrollabile. Come pare lontana l’aurora dalle dita di rosa lo stesso colore delle unghie smaltate delle delicate Ninfe di Santorini.
Tutto sarà morte. Achille, dopo aver dato libero sfogo alla sua terribile ira per vendicarsi atrocemente, piangerà assieme a Priamo, il re nemico. Piangeranno insieme, l’uno il corpo dell’amico/amante Patroclo, l’altro il corpo del figlio primogenito, il domatore di cavalli, il suo successore, Ettore, amato marito di Andromaca e padre di Astianatte.
La guerra riprenderà, Troia infine verrà rasa al suolo e prima, solo per un attimo, la morte imporrà una  tregua per celebrare il lungo e sofferto funerale di Ettore, uomo valoroso e compassionevole.
Afrodite rimasta sempre di vedetta ha provato a controllare il campo di battaglia senza tuttavia  poter impedire  la morte per mano di Filottete di Paride,  uccisore a tradimento di  Achille con una freccia avvelenata nel tallone, ma saprà proteggere e salvare  Enea, suo figlio, il glorioso e forse  misconosciuto combattente, nato dai suoi amori con lo splendido e affascinante pastore Anchise.
La sua perenne rivale nell’Olimpo, Era, per contro, appoggerà in tutti i modi i Greci, fino alla vittoria.
Ma nell’Eneide delle dee, Marilù Oliva canta anche il fato delle due donne speciali, quasi incatenate  dietro le mura di Troia: l’una figlia di Zeus, l’altra toccata da Apollo: Elena e Cassandra.  Che tramite la sua colta  penna si aprono, si rivelano e  ci offrono il suggerimento della nascita di un solo desiderato, forse sognato amore saffico tra loro…
Ma a chi appartiene  la voce che grida e proclama  la sua disperazione quando Troia è ormai invasa dagli Achei? I vincitori  uccidono e razziano ovunque senza pietà, mentre lei è pronta e si predispone al sacrificio. Una voce che sollecita solo di far cosa grata agli dei, offrendosi in olocausto per garantire la fuga dei suoi cari? 
Ma perché  quella voce, quella di Creusa, figlia di Priamo ed Ecuba,  moglie del misconosciuto  Enea,  protagonista dimenticata dalla famiglia e dalla storia è tanto sicura della sua scelta? Vuole propiziare per marito e figlio un futuro di gloria?
Potrebbe  avere dei reconditi segreti da rivelare?
Un romanzo speciale, spesso dai torbidi retroscena noir che ci rimandano a una dura mitologia in cui delitti e assassini invece di apparire esecrabili paiono volere esaltare la sconfinata potenza degli dei. Un romanzo in cui il male imperversa spesso crudelmente, mietendo vittime tra i più deboli e indifesi. E troppo spesso infierendo e sacrificando senza riguardo o pietà i personaggi femminili.

Patrizia Debicke

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