L’ultima telefonata, prima delle fine del turno di sabato pomeriggio di gennaio, porta al giornalista Fabrizio Corsaro l’informazione gentilmente offerta dall’amico capitano dei carabinieri Palmiro Amoruso, ormai quasi in odore di trasloco sulla terraferma: un cadavere quasi carbonizzato, è stato ritrovato molti giorni dopo il decesso, tra le sterpaglie della campagna di Montagnagrande frazione di Misilmeri, Palermo, nel cuore della Sicilia, in quelle sperdute zone a detta dei palermitani “ dove Il Signore ha perso le scarpe”.
Insomma, zone semi dimenticate da Dio, dove l’ hanno trovato due cacciatori che per caso, si sono spinti fin là. Il corpo è irriconoscibile e gli inquirenti non hanno tracce a disposizione per ricostruire la sua identità.
Unica certezza, come gli preciserà poco dopo a voce l’amico Amoruso, è che quel cadavere appartiene a un uomo di età indefinita e che sua la morte è stata causata da una pugnalata. E un mese dopo salterà fuori il fatto abbastanza strano e inquietante che, secondo il Dna, quel morto era tale Domingo Chiodo, quarantacinque anni. Condannato con sentenza passata in giudicato per lesioni gravissime alla convivente, che aveva quasi ammazzato di botte, poi condannato e da quindici mesi uscito di prigione. Evidentemente un caso abbastanza complicato da avere diritto sia a un’inchiesta approfondita da parte degli inquirente che a un bell’articolo di Fabrizio Corsaro sul giornale, utile soprattutto per lanciare un succoso amo con la richiesta: “Chi l’ha visto ?”
E l’articolo farà il suo dovere perché farà tornare in scena la donna vittima delle botte di Chiodo e affiorare alcuni indizi che collegano il morto a una piccola comunità religiosa che vive quasi isolata dal mondo a Borgo Carrubba, un ex borgo rurale di epoca fascista poco lontano dal luogo del macabro ritrovamento. Si tratta di uno sparuto gruppo di fedeli guidato da un certo Padre Mario Cataldo che ha rimesso in sesto alcune case abbandonate e le ha trasformate in un’oasi di pace, lavoro e preghiera. Borgo dove l’ex carcerato che si era presentato con il nome Mingo, per un breve periodo, era stato cristianamente accolto e rifocillato prima di ripartire.
Proprio in quella stessa comunità dovrà recarsi, per motivi strettamente professionali, dopo una telefonata con una precisa e impellente richiesta o meglio supplica del fondatore, Don Mario Cataldo, Roberto Corsaro fratello di Fabrizio, l’ avvocato penalista. E durante il suo quasi apocalittico viaggio, sorpreso dal furore di un uragano, con la macchina bloccata dal fango verrà liberato, tratto in salvo e accolto proprio dai membri della comunità. Lassù, loro ospite ma imprigionato dal maltempo, per alcuni giorni si vedrà costretto a vivere in una dimensione, che pare fatta di beata pacifica convivenza, apparentemente impenetrabile, al di fuori del tempo e della realtà. Ma le superfici stesse delle piccole comunità religiose, nate per appagare il bisogno di spiritualità, di condivisione, di pace, di accogliere e di essere accolti senza pregiudizi e soprattutto per appagare la volontà di fuga dal mondo, finiscono per relegare l’individuo in un piccolo imperfetto universo pieno di contraddizioni, paure, segreti, forse solo in grado di reggersi, per la volontà e la forza del responsabile. Ma lo costringono fatalmente a confrontarsi con quelle che sono reali problematiche universali. Insomma non è tutt’oro quello che luccica.
L’avvocato Roberto Corsaro infatti, pian piano comincerà a individuare delle crepe nella apparente pace e buona volontà tra le famiglie e le persone che hanno scelto quel tipo di vita quasi monastica. Una alla volta infatti alcune imprevedibili verità cominceranno a provare un qualche loro indiretto coinvolgimento o per la meno connivenza in quel delitto. Chi comunque e quanti tra loro erano a conoscenza dell’identità e del torbido passato del ex carcerato? Quali poi sono le ragioni che hanno spinto quella gente a vivere lontana dal mondo? Nascondono qualcosa? E se sì, cosa?
Una nuova avventura per i fratelli Corsaro, Roberto e Fabrizio, due fratelli palermitani tanto diversi tra loro per carattere e comportamento, eppure da sempre uniti dalla comune passione per le indagini e pronti a interagire per scoprire la verità. Roberto, il maggiore, è avvocato, cattolico convinto, sempre impegnato moralmente anche in cause difficili, con una moglie straordinaria e due figli adolescenti, con la maggiore, la femmina, entrata da poco in fase esibizionista volta al femminismo di contestazione. Fabrizio, il fratello minore, bravo giornalista di cronaca, sta vivendo un particolare momento di grave crisi nel legame affettivo con la sua compagna. Legame messo in discussione o peggio ormai minato dalla sua volontà di ottenere l’affido di un bambino che Fabrizio ha conosciuto in una comunità per ragazze e famiglie in difficoltà dove presta opera di volontariato. Da mesi infatti Fabrizio si è emotivamente impegnato in un complicato rapporto di quasi paternità con Nico, un piccolo rumeno di quattro anni. La madre del piccolo con gravi problemi di tossicodipendenza stenta a seguirlo e, dato il rapporto sorto tra il giornalista e il bambino, i gestori del centro sperano che lui faccia richiesta di affido, per garantire a Nico, una sicurezza di vita. Ma Maria la compagna di Fabrizio rifiuta categoricamente di appoggiarlo.
Come sempre le voci di Fabrizio e Roberto Corsaro si alterneranno nella narrazione offrendo ciascuno il proprio e talvolta diverso punto di vista della stessa storia. E insieme spalleggiandosi, quando Fabrizio avrà raggiunto il fratello maggiore nella comunità, anche stavolta verranno a capo del mistero e riusciranno a risolvere un complesso caso in cui una certa mistica esaltazione si mischia alla follia delle passioni umane.
L’intruso – Salvo Toscano
Patrizia Debicke