L’ombra della paura



Dirk Kurbjuweit
L’ombra della paura
Bollati Boringhieri
Compralo su Compralo su Amazon

Per la seconda volta in poche settimane, mi trovo a recensire buone, anzi ottime letture, pensando ad Andrè Gide e alla sua feroce invettiva in I nutrimenti terrestri: ”Famiglie! Vi odio! Focolari chiusi; porte serrate; geloso possesso della felicità”. Mi era già successo per Notturno salentino di Federica De Paolis, mi accade ora, di nuovo, con Dirk Kurbjuweit e il suo L’ombra della paura (Bollati Boringhieri, pag.256, luglio 2018).
Con acuto e impietoso scavo psicologico, l’autore costruisce un noir angoscioso attorno agli esiti nefandi di atti ripetuti di stalking ai danni della famiglia Tiefenthaler da parte di Dieter Tiberius, un vicino dapprima solo invadente, poi sempre più minaccioso.
Rudolph Tiefenthaler, il capofamiglia, architetto di buon successo nella Berlino dei giorni nostri, la moglie Rebecca e i piccoli Paul e Fay abitano da poco il piano nobile di una villa nell’esclusivo quartiere di Lichterfelde-West, un punto d’arrivo per il protagonista di origini modeste. Nel loro idillio borghese, però, un giorno malaugurato irrompe il “signor Tiberius” – come Rudolph si ostinerà a chiamarlo, anche quando gli eventi precipiteranno – “negli occhi, un lampo sconosciuto e a prima vista abbastanza inquietante”, che si installa nel seminterrato e incomincia a cibarsi delle loro vite .
Eppure l’uomo è stato accolto dalla famiglia con il miglior garbo di buon vicinato, una torta e una bottiglia di vino, che al principio lui ha ricambiato con piccole cortesie non dovute. La situazione, però, precipita ben presto: Rebecca diviene oggetto di attenzioni sgradite e di poesie dai contenuti licenziosi, mentre il vicino si spinge a sempre più basse insinuazioni, ivi compreso un supposto comportamento morboso dei Tiefenthaler nei confronti dei figli.
La spirale dell’angoscia cresce con ritmo vertiginoso e i due coniugi, strenui difensori di uno stato di diritto, scoprono ben presto che le istituzioni possono ben poco per difenderli.
Sotto la suggestione di Angst, il titolo scelto da Kurt Kurbjuweit per l’edizione in lingua originale del romanzo, come spesso accade ben più azzeccato di quello italiano, non ho potuto fare a meno di pensare a illustri precedenti: Freud stesso nel pilastro della sua dottrina Inibizione, sintomo e angoscia e Stefan Zweig in Angst, l’omonimo racconto, celebrano sotto tale definizione una paura tinta di oscura inquietudine.
Kurbjuweit firma un romanzo ipnotico in cui la ragnatela angosciosa in cui rimane invischiata la famiglia Tiefenthaler sotto la pressione dello stalker si intreccia alle paure infantili del protagonista: il timore di un gesto inconsulto del padre, da sempre inspiegabilmente ossessionato dal possesso delle armi, ai danni suoi o del fratello minore, e il terrore di una catastrofe nucleare in anni di guerra fredda e di forte tensione mondiale, causate dalla contrapposizione dei blocco americano e sovietico.
Le paure di oggi, non riuscire a difendere la propria famiglia dalle molestie del vicino e garantire la serenità dei figli, si collegano così a quelle di ieri, e schiacciano Rudolph Tiefenthaler spuntando “dal nulla, apparentemente senza ragione, e gravando sull’animo come un cappuccio nero. Si impossessano di te e ti gridano: «Scappa!”
E Rudolph infatti scappa, dal rapporto irrisolto con il padre e dall’amore coniugale, si astrae, all’interno di se stesso, durante cene solitarie in ristoranti di lusso, parentesi di vita fittizia. E’ un percorso doloroso che compie, in sé e nei suoi ricordi, per trovare le ragioni della violenza attuale e dei conflitti passati, un percorso dal quale nessun rapporto uscirà indenne, forse migliore ma non certo immutato.
L’ombra della paura indaga con acume i limiti individuali nella difesa da una minaccia che invade la sfera privata, l’invasione della propria intimità da parte di un estraneo divenuto ben presto “inquilino dei suoi pensieri, dei suoi sentimenti, del suo corpo”, il senso frustrante di inadeguatezza di un cittadino di fronte a uno stato che non lo protegge.
E’ un mondo di paura quello che Kurbjuweit evoca con maestria davanti ai nostri occhi, un filo sottile ma tenace a legare l’infanzia del protagonista, in una Germania ancora fresca delle macerie belliche, e la sua maturità in un paese di pacifico benessere. Un mondo dove, comunque, non si può vivere senza paure, “né da bambini, né da adulti”. La mancanza di coraggio è la vera colpa di Rudolph Tiefenthaler, la stessa che ieri gli impediva di cimentarsi al poligono di tiro con il padre, quella che oggi lo rende inerme nel confronto con il suo persecutore.
Lo scrittore e il giornalista si incontrano, felicemente, in un romanzo di profonda introspezione – anche la famiglia di Kurbjuweit ha subito la persecuzione di uno stalker – e di suggestiva rievocazione di una Germania da “cortina di ferro”.
Le dinamiche famigliari sono sviscerate con spietata lucidità e toccano vertici di lirico realismo nel racconto degli appassionati inizi dell’amore coniugale, gli anni del “mito fondativo”, e in quello irrisolto con il padre, un uomo con cui scambiare null’altro se non “un abbraccio quasi incorporeo”.
Una scrittura piana, precisa al limite della vivisezione, la cui mancanza di enfasi esalta per contrasto le affermazioni più agghiaccianti e che risuona del timbro inconfondibile del vero. D’altronde, e questo è il senso del lungo racconto in prima persona, “a volte è bene dire le cose in modo che facciano male, soprattutto quando sono vere”.

Giusy Giulianini

Potrebbero interessarti anche...